Jennifer Lee: “Disney? Con me le storie cambiano per 2 aspetti. Io napoletana di origini come mio marito”. Jennifer Lee su Disney e non solo, la regista e produttrice statunitense, 52 anni, si racconta parlando anche del suo ruolo nella nota casa di produzione cinematografica americana. Di seguito vi proponiamo alcuni passaggi dell’intervista rilasciata a ‘Io Donna’.
Jennifer Lee, già in Frozen si era liberata del principe azzurro. E anche qui sembra non esserci alcun uomo che corra in soccorso all’eroina. Che cosa è successo alla tradizione Disney?
“Frozen è stato un capitolo rigenerante per Disney, abbiamo diversificato molto da quando sono diventata Cco: abbiamo cominciato a raccontare storie della gente del mondo dal punto di vista della gente del mondo. E le storie sono diventate più sofisticate e interessanti. Per Wish volevo un’eroina che non avesse tutte le risposte fin dall’inizio. Asha è un’idealista, per lei la vita è un viaggio ancora tutto da percorrere, il film è un racconto di formazione. Oggi il pubblico è molto sofisticato, i bimbi vedono tante cose diverse, vogliono sentire che i personaggi aderiscono alle loro vite. E per quanto mi piaccia l’idea dell’amore eterno e salvifico, so che c’è molto di più nella vita”.
In effetti dovete vedervela con una generazione che ha visto South Park, i Simpsons e che ama Miyazaki.
“Il pubblico tra 18 e i 35 anni ha visto tutto, sono i più difficili da sorprendere, ma apprezzano i personaggi complessi. I bambini invece vedono le cose con una chiarezza che noi non conosciamo. Quando guarderanno Wish diranno che è una sto- ria sul potere dei desideri. Mentre un adulto ti dirà: «Mi ha ricordato me e mia sorella»”.
Jennifer Lee: “Disney? Con me le storie cambiano per 2 aspetti”
Da Cenerentola e La Bella addormentata, passando per Ariel della Sirenetta, Pocahontas, Mulan, i personaggi femminili sono evoluti incredibilmente.
“Cenerentola è stata molto importante per me quando crescevo. Ed ero una ragazzina quando è uscito La sirenetta. Ricordo che mi sentivo come Ariel: stavo andando al college, scoprivo il mondo, lasciavo la famiglia per la prima volta, stavo creando la mia nuova identità. Anche Ariel scopre il mondo, mette le gambe al posto della coda, un cambiamento simbolico fortissimo.
Quando ero sola in casa cantavo le canzoni del film, era una grande motivazione per me. E poi c’è stata Rapunzel: è lei che ha reso Frozen possibile. La prima principessa in CGI (immagini generate al computer, ndr), una voce divertente e contemporanea. Ed è stato grazie a quel successo che la regina delle nevi che era stata dimenticata è tornata a far parte dei progetti possibili. Quando mi hanno chiesto di ridarle vita ho provato una grande gioia e un senso di libertà”.
Il suo percorso ricorda quello delle eroine che sognano e desiderano: è stata arruolata da Disney con un contratto di 8 set- timane, è rimasta 12 anni e ha fatto una carriera niente male.
“E ora incoraggio altre donne a unirsi al team. C’è una differenza evidente quando più donne sono intorno al tavolo dove si discute. Quando ho iniziato, spesso ero l’unica nella stanza. Qualcuno ha detto che se c’è una sola donna nessuna la ascolterà, e io ho dovuto alzare la voce per farmi sentire. Due donne vengono talvolta scagliate l’una contro l’altra, ma con tre donne parte la conversazione”.
Jennifer Lee: “Io napoletana di origini come mio marito”
[…] Lei si è formata nel cinema di finzione. Quali personaggi femminili dell’età d’oro di Hollywood l’hanno ispirata?
“Rosalind Russell la protagonista di La signora del venerdì. Tutti i personaggi interpretati da Katharine Hepburn. E poi le protagoniste del cinema degli anni ’70, di film come Alice non abita più qui, e Jane Fonda, Meryl Streep. Donne e personaggi tridimensionali, forti e vulnerabili insieme. Poi c’è Emma Thompson: Ragione e sentimento è un film che mi ha ispirato. In Frozen avevo in mente la relazione tra quelle due sorelle”.
Ha una figlia di vent’anni: sono diversi i riferimenti e le sfide rispetto ai suoi vent’anni?
“Sono sempre stata una ragazza che aveva idee, ma pensava che non valesse la pena di proporle al mondo. Oggi lo dico a mia figlia: tutte le cose che ti vengono in mente in questo momento della vita sono indizi di quello che farai domani. Se non avessi amato la fisica, non avrei avuto l’idea di Wish. È quella l’età in cui il mondo si rivela per quello che è, e non è quasi mai un mondo ideale. Vedere mia figlia combattere per entrare nel consesso de- gli adulti, ritagliarsi il proprio ruolo, mi fa pensare a me in quel periodo. E al senso del mio lavoro: perché noi diciamo che non c’è bisogno di essere perfetti, anche gli errori e i passi falsi sono importanti. Sentirsi poco stimati è qualcosa che conosco bene. Mi piacciono i personaggi che lottano contro questo nemico”.
[…] Lei ha origini italiane, il suo cognome è Rebecchi, Lee era il cognome di sua madre.
“I miei avi sono arrivati nel New England nel XIX secolo da Scafati, piccolo paese a est di Napoli. Nel Rhode Island da dove vengo c’è una grande comunità italiana. Molti italo americani erano maltrattati allora, perciò alcuni per integrarsi meglio hanno scelto di abbandonare l’italiano. Mio padre l’ha fatto. Io ho cercato di imparare la lingua senza molto successo, mio marito (l’attore, magnifico, Alfred Molina, ndr) invece lo parla, è italiano pure lui”.
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