Marina Cicogna: “Cancro? La mia vita cambiata dopo la notizia. Favino bravo ma un aspetto mi ha stupito”. Marina Cicogna sul cancro e non solo, la produttrice cinematografica romana, 89 anni, ripercorre le tappe della sua vita privata e professionale in una intervista a ‘Il Corriere della Sera’. Ve ne proponiamo alcuni passaggi.
È diventata avvenente verso i quarant’anni, sotto la dolce ala della maturità. È d’accordo?
«Direi di sì. E però è uno dei grandi mestieri che non sono mai riuscita a mettere a fuoco. Io mi trovo con tanta gente che mi dice che sono più bella oggi, a 89 anni, di trent’anni fa, avendo una malattia grave. Anch’io quando mi guardo allo specchio mi dico è vero, ed è una cosa bizzarra. È miracoloso tutto questo. La vita è fatta anche di miracoli».
Lei parla liberamente della malattia, lo ha fatto anche in tv quando le hanno dato il David di Donatello alla carriera.
«Ma sai, quando ti dicono signora lei ha un cancro cosa fai, lo metti da parte? È una cosa violenta, inattesa, improbabile. Un medico in Svizzera mi ha dato la notizia e la mia vita è diventata un’altra».
Marina Cicogna: “Cancro? La mia vita cambiata dopo la notizia”
Questa serie si intitola Le Capitane. Lei si è sentita capitana quando, prima donna al mondo, nel 1971 vinse l’Oscar come produttrice per Indagine su un cittadino al di sopra di ogni sospetto di Elio Petri?
«Direi di no. Non andai nemmeno a prenderlo a Los Angeles. Semmai mi sentivo una cretina, perché non ero andata. Sentirsi capitani è quando affronti una cosa ed è un tuo successo, che appartiene a te e non è stato attribuito o voluto da altri. Stamattina magari lo sei, capitana, e stasera non lo sei più. Ho lavorato nel decennio dei ’70, poi tornai dagli Usa e in Italia andavano solo filmetti comici. Avrei potuto fare di più».
Lei è stata amica di Gianni Agnelli, Jackie Kennedy, Gregory Peck, Mick Jagger, Luchino Visconti. Suo nonno creò dal niente il Festival di Venezia tirando su una tenda all’Hotel Excelsior per proiettare i film. Una vita di privilegi. Ma una volta ci disse che per arrivare in cima è stata molto dura.
«Se parliamo di sforzi, cosa si può considerare uno sforzo? Certamente per una donna, una delle pochissime nel cinema, il non essere stata presa all’inizio sul serio dagli uomini è stata dura, benché tutto sommato una presenza femminile non fosse così avversata. Ma io avevo una certa maniera di andare avanti, se credevo in qualcosa sapevo come ottenerlo. Certi film in cui credevo, come Metti, una sera a cena di Patroni Griffi, non li volevano nemmeno all’Euro, la casa di produzione e distribuzione familiare, e quando Gian Maria Volonté si ritirò dal progetto fecero salti di gioia».
«Io capitano»di Matteo Garrone è un bellissimo film, ed è candidato per l’Italia agli Oscar. Ma al botteghino non ha il successo sperato. Perché?
«Ho parlato molte volte con Matteo, siamo amici, lui è sempre rimasto dispiaciuto di non arrivare a un vero pubblico popolare. Perché succede non lo so. Ma penso che per l’Oscar qualche chance l’abbia».
Marina Cicogna: “Favino bravo ma un aspetto mi ha stupito”
Della polemica di Favino sull’invadenza di attori americani su icone italiane cosa pensa?
«È un bravo attore, queste cose nazionaliste mi stupiscono sempre un po’».
[…] Lei ha avuto una relazione leggendaria per vent’anni con Florinda Bolkan e un flirt con Alain Delon. La donna e l’uomo che ha amato di più?
«È complicato rispondere, finisci sempre con offendere un’altra persona. Con Alain fu buffo. Ero a Megève, dove condividevo una stanza d’hotel con Ljuba Rizzoli, che era bellissima. Lui lasciò un biglietto sotto la porta: ti aspetto nella camera 104. Mancava il destinatario. Strappai il biglietto dalle mani di Ljuba e mi precipitai io. Ero la ragazzina invaghita di un mito, galleggiai sospesa in un’altra dimensione per qualche settimana. Florinda la conobbi a Parigi, lei era tornata da una vacanza a casa Kennedy. La trovavo speciale, solare, libera, disinibita, fisico asciutto, sorriso infantile, aspetto androgino. Alle sue scappatelle davo poco peso ma si rifiutava di accettare la mia con Benedetta, che dovette nascondersi in un armadio, tra i miei vestiti. Ci vivo da 40 anni».
[…] Una donna libera come lei, come ha vissuto un mondo conformista e fintamente inclusivo come il cinema?
«Fa parte del provincialismo italiano. Dipende dal fatto che in un ambiente pieno di qualità si infilino persone che di qualità ne hanno poca, dominate dall’invidia, non solo dal conformismo».
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