Paola Cortellesi: “C’è ancora domani? Vado nel passato per un motivo. Mi ha colpito la frase di un 13enne”. Paola Cortellesi su C’è ancora domani, l’attrice romana, 49 anni, parla del film che la vede all’esordio da regista (campione di incassi al box office) in una intervista a ‘Il Corriere della Sera’. Ve ne proponiamo alcuni passaggi.
Quella di Delia, popolana di Testaccio, due figli, un marito ottuso e violento, un suocero allettato a carico e tanti lavoretti per mettere insieme pranzo e cena. In un momento chiave del nostro Paese, giugno 1946. Si aspettava questa accoglienza?
«Ci speravo ma non potevo immaginare le dimensioni. Ci vanno famiglie, madri con le figlie, ragazzi. L’altro giorno uno di tredici anni un po’ timido si è alzato e ha detto: ”Non sapevo se venire perché secondo me non mi sarebbe piaciuto, però mi è piaciuto tanto”».
Classe 1973, radio, tv, satira, primo film da attrice nel 2000, da sceneggiatrice nel 2014. Perché anche regista?
«Non riuscivo a mollare. Con Riccardo (Milani, suo marito, ndr) a parte i soliti siparietti tipo casa Vianello quando litighiamo scrivendo, sul set mi lascio dirigere, sono serena. Ma volevo fare a modo mio. Per esempio, non rinuncio alle didascalie».
[…] Valerio Mastandrea e Emanuela Fanelli — nel cast con Giorgio Colangeli, Vinicio Marchioni , Romana Maggiora Vergano —, che pur le vogliono molto bene, parlano di lei come di regista rompiscatole, anche se usano una frase romana più colorita.
«Diciamo meticolosa. La cosa bella è che ho potuto scegliere le persone che mi corrispondono, non solo gli attori ma in tutti i reparti. Il vantaggio di esordire alla mia età è che io conosco da attrice tutti i professionisti del settore. Sul nostro set c’era gentilezza, un’atmosfera unica».
Paola Cortellesi: “C’è ancora domani? Vado nel passato per un motivo”
[…] Dalla A di Arbore e Aldo Giovani e Giacomo alla V di Enrico Vaime, sembra non ci sia un nome del mondo dello spettacolo italiano con cui non ha avuto a che fare. Cosa si è portata dietro?
«Tutto. Ogni esperienza ha contribuito a una crescita di cui non sono stata consapevole ma mi ha permesso di pescare in registri che apparentemente non stanno insieme. Comicità che arriva dal lavoro fatto vent’anni fa con i Gialappi, la musica dal varietà tv, cose squisitamente cinematografiche o teatrali. Nella mia vita c’è tutto».
Compreso Sanremo 2004. Che ricordi ha?
«Bellissimi. Era un Sanremo in minore, le case discografiche avevano dato forfait, non so più perché. Affidarono la conduzione all’ultimo a Simona Ventura. Con lei, Gene Gnocchi e Crozza potevamo fare quello che volevamo sul palco. Molto liberi. Cose folli impensabili in un’edizione più canonica».
Miglior perfomance di un film di una regista, Delia è un po’ la nostra Barbie.
«Evviva. E mi piace che basti l’articolo a definire il genere dell’autore. Perché regista donna se non si dice regista uomo?»
Una storia degli anni‘40, in bianco e nero. Ma contemporanea, ha spiegato. In che senso?
«Vado nel passato per raccontare una condizione femminile che non è più così ma conserva dei retaggi culturali, pericolosamente vivi e vividi. Mi fa piacere che mi dicano che coglie lo spirito del tempo. La forza delle donne. Di ieri e di oggi. Era il mio intento».
[…] Ha detto di essersi ispirata ai racconti dei nonni, della vita di cortile e lo ha dedicato a sua figlia. Reazioni?
«È rimasta spiazzata, sorpresa. Parte della mia famiglia l’ha visto e si sono divertiti, hanno riconosciuto i racconti d’infanzia. E certi nomi, come Alvaro (nel film Lele Vannoli)».
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