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Spettacolo

Giorgio Gaber, la figlia Dalia: “Con mia madre legame patologico. Quella frase sulla malattia…”

Giorgio Gaber, la figlia Dalia: “Con mia madre legame patologico. Quella frase sulla malattia…”. Giorgio Gaber, la figlia Dalia Gaberscik racconta alcuni retroscena legati al cantautore a vent’anni dalla sua scomparsa in una intervista a ‘Il Corriere della Sera’. Ve ne proponiamo alcuni passaggi.

Era diverso a casa dal Signor G del teatro-canzone?
«Il lavoro era il suo gioco preferito. Si svegliava tardi, all’una o alle due, colazione, sigaretta, prove nel tardo pomeriggio, un toast prima dello spettacolo, primo tempo, secondo tempo, e anche un terzo tempo…».

Terzo tempo?
«Raggiungeva la felicità alla fine dello spettacolo, una gioia fisica quando aveva consumato tutte le cellule: mi sembrava persino di vederlo più piccolo. Faceva due tempi per potersi cambiare la camicia nell’intervallo, che era fradicia, e alla fine ne buttava via un’altra, era come svuotato e rimpicciolito, ma era la felicità pura, si asciugava e in camerino cominciava il terzo tempo con la gente che andava a trovarlo. Più che i complimenti ascoltava le critiche, le domande…».

Cosa la impressionava di più vedendolo in scena?
«Era una macchina, con una memoria di ferro. Diceva: “Dopo che ho raggiunto la memoria perfetta del testo, comincio a divertirmi”, a quel punto gli capitava di pensare ad altro mentre recitava o cantava. Durante l’intervallo una volta mi disse: “Sai che ho pensato a quella cosa della tua professoressa di latino? Hai ragione, è proprio una…”».

Ma lei lo vedeva spesso?
«Era molto in giro, ma per me è stato un padre molto presente, addirittura mammoso. Se erano in tournée mamma e papà, con me restava la nonna, la madre di mia madre, che mi ha tirata su, era la mia prima mamma».

Che coppia erano suo padre e sua madre, Ombretta Colli?
«Uniti quasi in forma patologica, con una complicità che superava ogni elemento esterno, comprese me e mia nonna. Comunque, quel che diceva mia madre era legge per lui, quel che diceva mio padre si poteva mettere in discussione. Poi a sorpresa lei lo sosteneva quasi sempre: persino quando nel 1970 decise di mollare la tv… Lasciare la Rai per il teatro fu una brutta botta economica».

Non un padre autoritario, a quanto pare.
«Per niente. Negli ultimi anni nella nostra casa di campagna in Lucchesia, con la nascita dei miei due figli, era diventato rigido sull’ordine, se piantavo lì la carrozzina, se cambiavo il pannolino sul divano, se trovava in giro il ciuccio… Era già malato e si irritava facilmente».

Giorgio Gaber, la figlia Dalia: “Con mia madre legame patologico”

Momenti di confidenza?
«Ho passato gli ultimi tre mesi in Toscana con lui, mollando tutto. Era di una lucidità totale, drammaticamente consapevole, non cupo. Ho passato un sacco di tempo a chiacchierare con lui, serate paradossalmente ridanciane. Non era un tipo coraggioso ma diceva: “Beh, a un certo punto mi addormenterò”».

[…] Fu una lunga malattia?
«Nell’87, aveva 48 anni e io 21, stavo studiando alla scrivania, lui arriva e mi fa: “Cazzo, ho fatto un esame medico e non è andato bene”. Il tumore si è ripresentato nel ‘93».

Ha fumato fino all’ultimo?
«Era astemio, come noi tutti, e non era un mangione. Ma ha fumato Marlboro rosse per tutta la vita, 40, 50 al giorno. Diceva: “Più di così non posso”. Verso la fine non aveva voglia, e ci siamo preoccupati».

Come reagì quando sua madre entrò in politica?
«All’inizio era molto perplesso su Berlusconi, ma quando capì che la mamma era convinta, le disse: “Vai, penso che la politica abbia bisogno di persone perbene”. Si infuriò perché la sinistra lo aveva messo in croce, qualcuno sosteneva persino che doveva divorziare…».

Ha avuto un rapporto difficile con la sinistra?
«Diceva: “Non sarò mai di destra, ma nessuno mi fa incazzare come la sinistra”. E poi: “ Io sono di sinistra, non della sinistra”. La morte di Berlinguer in casa fu un vero colpo: non ricordo se piansero ma poco ci mancò».

Gli altri conflitti politici?
«Il momento più duro fu nella stagione ’77-’78: anche mio padre fu contestato, gli tiravano addosso di tutto. Anche Milani e Bisio ricordano di averlo fischiato».

[…] L’ultimo ricordo?
«Papà era campione mondiale del bigliardino, faceva morir dal ridere, intimoriva l’avversario, rullava, faceva gol di gancio, micidiale. Quel che mi manca è la sua allegria».

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