Lino Banfi: “A Milano non trovavo casa c’era scritto ‘non si affitta ai terùn’ Mio fratello ha passato la vita in galera ma non è malvivente”. Lino Banfi su Milano e non solo, l’attore pugliese, 87 anni, si racconta ripercorrendo le tappe più significative della sua vita privata e professionale in una intervista ad Aldo Cazzullo per ‘Il Corriere della Sera’. Ve ne proponiamo alcuni passaggi.
[…] Suo padre cosa faceva?
«Ortolano. Coltivava cipolle e porri. Si chiamava Riccardo. Lo adoravo, e non sono mai riuscito a dirglielo. Aveva la terza elementare».
E sua madre?
«Non era andata a scuola proprio. Quando doveva firmare le dicevano: Nunzia, fa’ la croce. Ma lei rispondeva: “Mi chiamo Nunzia Colia”, e di croci ne faceva due: una per il nome e una per il cognome. Mamma me la sono goduta più a lungo. Quando si ammalò, cercai per lei il miglior chirurgo. Dopo l’intervento il luminare volle incontrarmi, mi portò in uno sgabuzzino, chiuse a chiave. Pensai dovesse darmi notizie gravi».
Invece?
«Si inginocchiò, mi baciò la mano, e disse: “Ho sempre sognato di baciare la mano che ha toccato il culo a Nadia Cassini”. Avevo affidato la vita di mia madre a un pazzo».
Ha fratelli?
«Giuseppe ha passato la vita in galera: agente di custodia alle Nuove di Torino. Nicola è assicuratore. Poi c’è Sabina: sarebbe mia cugina, ma è cresciuta con noi e l’ho amata più di una sorella».
[…] Come cominciò per lei lo spettacolo?
«L’avanspettacolo. Quando venivano le compagnie, nell’intervallo il pubblico scandiva il mio nome: Zagaria-Zagaria… Io salivo sul palco con una calza della mamma in testa, e imitavo i grandi della musica nera: Don Marino Barreto, Nat King Cole, Armstrong… Un giorno l’impresario mi propose di seguirlo».
Lino Banfi: “A Milano non trovavo casa c’era scritto ‘non si affitta ai terùn'”
[…] Poi partì per Milano.
«Con la valigia dell’emigrante: l’unico vezzo fu legarla, anziché con lo spago, con un foulard di mamma. Sulle case era scritto “non si affitta ai meridionali”, o anche direttamente “non si affitta ai terùn”. Così cancellai con la scolorina la n di Andria, per risultare nato ad Adria, e facevo l’accento veneto: “Ghe xè una camera per mi?”. I soldi finirono subito. Avevo 19 anni da compiere e una fame arretrata. Dormivo nei vagoni sui binari morti della stazione. Un clochard, anzi un barbùn de prufesiùn come si definiva, mi prese sotto la sua protezione: “Quel vagone parte, dormi in quell’altro…”. Fu lui a suggerirmi l’idea delle tonsille».
Tonsille?
«Faceva freddo, sognavo un letto e un pasto caldo, e il barbùn mi chiese: “Ce le hai ancora le tonsille?”. Ce le avevo. “Fattele togliere. Tanto non servono a niente. E ti fai una bella settimana in ospedale”. Ma io non sono malato. “Ma sei un attore, no? Intanto prendi questo”, e mi prepara un intruglio a base di chinino che in effetti mi fa gonfiare la gola. Vado in ospedale, a Baggio, e convinco i medici a operarmi. Non avevo calcolato che dopo ti tengono a digiuno…».
[…] Quando divenne Lino Banfi?
«Più tardi, a Roma. Lavoravo nel teatro di Graziano Jovinelli, che mi mandò da Totò con una lettera di presentazione: “Ma mi raccomando, non la aprire, non leggere quello che scrivo di te”».
E lei?
«Io ovviamente aprii la lettera, con il trucco del vapore, e la lessi. C’era scritto: “Caro Totò, hai davanti un giovane di talento, che non si smarrisce nei congiuntivi”. Praticamente una laurea. Totò mi chiese: come ti chiami? E io: Pasquale Zagaria, in arte Lino Zaga. E lui: non va bene, lo devi cambiare».
[…] La Puglia allora non era di moda: Modugno passava per siciliano, Arbore per napoletano.
«Non avevamo tradizione teatrale, non abbiamo avuto Pirandello o Eduardo. Checco Zalone me l’ha riconosciuto: ho aperto la via della pugliesità. All’epoca nessuno di noi era profeta in patria».
[…] Com’erano Franco e Ciccio?
«Grandissimi. Ogni tanto litigavano e ognuno minacciava l’altro: ti lascio e mi metto con Lino Banfi! Una volta accadde davvero: nel 1979 a Ciccio venne un’ulcera e io partii al suo posto con Franco per l’America, c’erano anche Rosanna Fratello e Bobby Solo. Di notte mi svegliavo per andare a vedere il mio nome che lampeggiava sull’insegna del Madison Square Garden».
E Villaggio? È vero che era cattivo?
«No. Semmai, cialtrone. Giravamo i Pompieri con Boldi e De Sica, lui diceva: offriamo la cena pure a quelli del tavolo vicino, poi se ne andava. E dovevamo pagare noi, per lui e per i vicini. Però, a differenza di altri comici, non era geloso dei colleghi che facevano ridere».
Lino Banfi e Sofia Loren
[…] Sofia Loren?
«Mi chiamò un mattino molto presto, per farmi i complimenti per una fiction sui bambini che l’aveva commossa. “Nuie simme ciucci ‘e fatica” mi spiegò: dobbiamo lavorare sino all’ultimo respiro».
Nadia Cassini l’ha più rivista?
«Me la fece ritrovare Chiambretti in una trasmissione, c’era anche Annamaria Rizzoli. Nadia era ingrassata, aveva bevuto, era una creatura splendida ma fragile».
[…] Rifarebbe quei film?
«Rifarei tutto. Un critico di sinistra mi confidò che andava di nascosto a vederli e piangeva dalla risate. Gli dissi: perché non lo scrivi? E lui: sei matto, poi mi licenziano. I figli di Dino Risi rievocano volentieri tutti i film del padre, tranne “Il commissario Lo Gatto”: perché? Carlo ed Enrico Vanzina invece hanno sempre ricordato che Steno mi diresse in “Dio li fa e poi li accoppia”. Ero un salumiere omosessuale che chiedeva al prete, Johnny Dorelli, di sposarlo con un uomo…».
C’è invece un film che si pente di aver rifiutato?
«Regalo di Natale. Ero stato travolto dal successo dell’Allenatore nel pallone, tenevo il ritmo di tre film all’anno, stimavo Pupi Avati ma non volevo rinchiudermi nel suo circolo, Cavina Haber Delle Piane… Fu un errore. Ma sono contento di aver fatto la fortuna di Abatantuono».
L’aldilà
[…] Perché deve tutto a sua moglie?
«Andammo a Roma sul camion della verdura di mio cugino: devo ancora pagarlo adesso. Era nata Rosanna. Non avevamo una lira, solo debiti coi cravattari. All’asilo mi dicevano: la bambina deve mangiare la carne, se no diventa rachitica. Questa parola — rachitica — mi rigira ancora dentro. Così andai dal senatore Iannuzzi».
Chi?
«Il senatore di Canosa. Mi trovò un posto da fattorino in banca, con la prospettiva di essere promosso usciere. Basta con l’avanspettacolo, da domani si lavora seriamente. Non ci dormii tutta la notte. All’alba Lucia mi disse: “Tu oggi non vai. Non voglio vivere con un uomo infelice. Tu devi fare l’attore. E io sarò sempre al tuo fianco” (Lino Banfi si commuove). Fino all’ultimo giorno l’ho baciata, l’ho chiamata amore, e l’ho amata veramente. Abbiamo anche concordato un segnale, un fischio, per riconoscerci nell’altra vita, tra tante anime».
[…] come immagina l’aldilà?
«Un posto tranquillo e accogliente, perché così Lucia me lo sta preparando».
Lei mi fa ridere e piangere insieme.
«Ci ho messo quasi novant’anni; ma alla fine ce l’ho fatta».
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