Castrogiovanni: “La festa di Ibra l’errore più grande della mia vita. Pugno all’arbitro? La realtà è un’altra”. Martin Castrogiovanni sulla festa di Ibra e non solo, l’ex pilone della Nazionale italiana rugby, diventato uomo di spettacolo, 32 anni, si racconta in una intervista a ‘Il Corriere della Sera’. Ve ne proponiamo alcuni passaggi.
Da Paranà, Argentina, a Calvisano, Italia.
«Avevo 19 anni, il passaporto italiano perché la mia famiglia è di origine siciliana. Primo alloggio una vecchia cascina, rumori, caldo. Scappo a casa di Fabio, un giocatore che arrivava dal mio stesso club di Paranà: vengo da te, sennò me ne torno in Argentina, gli dico. Per fortuna il presidente del Calvisano era Alfredo Gavazzi (che fu anche presidente della federazione, ndr), mi voleva bene come fossi suo figlio, invece di cacciarmi mi dà un appartamento in centro, probabilmente il suo più grande errore».
I sogni di allora?
«Tutti hanno sogni a quell’età, però non avrei mai pensato che mi sarebbe andata così bene. Dopo cinque anni in Italia arriva il Leicester, uno dei club più famosi d’Inghilterra. Mi chiedono di andare a giocare da loro: contratto di un anno al quale ne aggiungono poi altri tre».
Anche perché appena arrivato in Inghilterra vince la Premier e viene nominato miglior giocatore del campionato, lei, un pilone destro, un po’ come dare il Pallone d’oro a un portiere.
«A Leicester ho vissuto il periodo migliore da giocatore. Campionato tosto, un sacco di partite. E non era come adesso che i piloni vengono sostituiti dopo 50 minuti, allora te li facevi tutti 80. Là ho lasciato un pezzo di cuore e due ristoranti. Quando ero infortunato servivo ai tavoli. Ha presente Rocky Balboa nel film? Uguale. Venivano i compagni, i tifosi. Sono stato benissimo».
[…] Il Tolone, il Racing di Parigi e la festa di compleanno di Zlatan Ibrahimovic a Las Vegas. Era il 2016.
«La cosa più stupida della mia vita da giocatore. Ero infortunato. Potevo chiedere: posso andare alla festa di Ibra? Però ero convinto che mi avrebbero detto di no, allora raccontai che andavo in Argentina a trovare mia nonna. Ovviamente mi scoprirono subito e quello che accadde dopo mi portò ad allontanarmi dal rugby. Avrei voluto chiedere scusa ai miei compagni, non fu possibile, il club mise di mezzo gli avvocati perché i francesi sono fatti così. La verità è che ero tornato dal Mondiale infortunato, avevo un contratto importante e forse non ero più il giocatore che loro si aspettavano. Me lo hanno fatto pagare. Il rugby è uno sport che ti insegna a prenderti le tue responsabilità, sapevo di avere sbagliato e volevo solo scusarmi. Chiudere così mi ha ferito».
E l’ha allontanata dal suo mondo.
«Ho amato molto il rugby e ho anche sofferto molto per il rugby. Però ho sempre creduto nella filosofia del gioco, nei suoi valori. Che forse non sono più quelli di una volta. Prima, finita la partita, c’era il terzo tempo, ora l’analisi al video, della squadra e dell’arbitro. Io ho sbagliato, però mi sentivo tradito e quando le cose finiscono male bisogna lasciar passare del tempo».
[…] Dal rugby al mondo dello spettacolo. Sempre in competizione.
«La vita è competizione, lo spettacolo, la tv, è una competizione diversa. In campo quando vedevo un buco mi ci buttavo con la testa, ora è diverso. Credo di aver pensato sempre troppo alla competizione, sei un atleta e vuoi vincere. Non posso giocare a calcetto, sto imparando a giocare a carte, prima nemmeno potevo giocare a risiko perché volevo sempre vincere. Durante il primo lockdown ho dovuto rivedere un po’ di cose, ora sono molto migliorato».
[…] Nessun rimpianto per non aver fatto l’allenatore?
«Ho smesso col rugby perché non mi piaceva più e non ho mai pensato che allenare mi avrebbe ridato quello che avevo vissuto da giocatore. Rispetto tutti quelli che allenano, ma non è per me. Vivo un’altra vita. E poi sono convinto che sia meglio lavorare con i bambini che andare a vincere una coppa».
[…] Daniela è sua moglie da quasi tre anni, come vi siete conosciuti?
«Io ero in Argentina, lei in Italia, a una cena di un amico in comune, alla quale non voleva andare. Per fortuna all’ultimo momento ha cambiato idea. Questo amico decide di fare una videochiamata per salutarmi e, tra le varie persone, parlo anche con lei. Mi sono fatto mandare il numero di Daniela e abbiamo iniziato a scambiarci messaggi. Io sono tornato dopo diverso tempo dall’Argentina, ma in tutto quel periodo ci siamo scritti e, non appena rientrato in Italia, ci siamo incontrati».
Come l’ha conquistata?
«Sono timido, le prime mosse le ha fatte lei. Ci siamo trovati subito in sintonia, è nato tutto in modo immediato e naturale. Abbiamo iniziato a convivere poco prima del lockdown del 2020, un’esperienza che ha rafforzato il nostro rapporto. In un contesto di difficoltà, dove c’era sofferenza e paura, la condivisione ci ha dato la forza per gestire quel momento e ci ha unito ancora di più».
[…] Si è mai pentito della spinta data a quell’arbitro?
«Insomma, con gli arbitri è sempre difficile. Nel rugby non puoi aprire bocca che scatta subito la sanzione. Però una piccola rivincita me la sono presa quando mi hanno chiamato a giocare nel torneo degli ex che si fa alle Bermuda. Iniziamo, l’arbitro fischia, io mi avvicino e gli chiedo: stai bene? Certo, risponde. La scena si ripete altre quattro volte e alla fine lui perde la pazienza. Ma perché continui a chiedermi se sto bene? Perché stai arbitrando malissimo».
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