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Spettacolo

Beatrice Rana: “Titolo a Clara e Robert Schumann per un motivo. Donne musiciste? C’è stato uno step fondamentale per l’emancipazione”

Beatrice Rana: “Titolo a Clara e Robert Schumann per un motivo. Donne musiciste? C’è stato uno step fondamentale per l’emancipazione”. Beatrice Rana, il titolo Clara e Robert Schumann e non solo, la pianista pugliese, 30 anni, parla a tutto tondo della sua carriera in una intervista a ‘Io Donna’. Ve ne proponiamo alcuni passaggi.

«L’immagine dell’artista lontano, sull’eremo, forse è un po’ sparita. E, comunque, io penso che come musicisti possiamo fare tanto “per” e “con” il pubblico. Guardando più a modelli esteri che italiani, ho cercato di creare una relazione interattiva con gli spettatori: non si devono sentire componente passiva dell’organizzazione. Il loro è un ruolo fondamentale e, se non fosse stato abbastanza chiaro, ce ne siamo accorti benissimo durante la pandemia. Per me è stato difficilissimo suonare senza audience».

In che modo facilita questa interrelazione, praticamente?
«Con l’abolizione del palcoscenico standard (tutti sullo stesso piano) e la creazione di situazioni informali: all’aperto, nei campi, fra gli ulivi. A volte c’è un filo di supponenza nei fan della classica, e allora nel 2022 mi sono concessa un esperimento molto comunista (ride): ho tenuto un concerto di cui non ho annunciato il programma. Non sapendo cosa avrebbero ascoltato, nessun esperto aveva certezze granitiche su quando applaudire, al pari dei neofiti: essendoci sempre un po’ d’ansia da “prestazione sociale”, ho messo ognuno dei presenti nella stessa condizione».

Risultato?
«Battevano le mani guidati solo dal principio di piacere, proprio come dovrebbe essere».

Beatrice Rana: “Titolo a Clara e Robert Schumann per un motivo”

E i giovani, che spesso avvertono Bach o Beethoven troppo distanti, “muffosi”?
«I giovani vengono sempre sottovalutati. La cosa che ho imparato in questi primi anni di vita concertistica è che il pubblico non è scemo e bisogna dargli fiducia. Non dobbiamo chiedere, dobbiamo dare e poi in cambio si riceve. Esigere il silenzio in sala è sbagliato: il silenzio lo si ottiene, non lo si pretende. Purtroppo non in molti sono d’accordo con me (ride forte)».

[…] Il suo ultimo disco (registrato con la Chamber Orchestra of Europe e il direttore Yannick Nézet-Séguin) si intitola Clara e Robert Schumann, Piano concertos. Come mai questa scelta?
«Il senso era mostrare quanto Robert abbia preso dalla moglie, e non viceversa. Sono tutti e due concerti in La minore ma Robert l’ha scritto 10 anni dopo. Non voglio fare la pasionaria (la musica per me è o bella o è brutta, non ha generi), però Clara merita un omaggio: è una figura pazzesca, si può dire che abbia “inventato” il mio mestiere. È stata la prima donna a fare tournée da concertista, e pur avendo otto figli: sembra assurdo nel 2023, figuriamoci nell’Ottocento! E quando è rimasta vedova – a poco più di 30 anni e in modo traumatico (il marito si è suicidato) – ha continuato la carriera, diventando una musa ispiratrice per Johannes Brahms. Era forte, visionaria, geniale: ha scritto questo concerto rivoluzionario a 14 anni, una bambina. Solo lei poteva darsi limiti, e purtroppo l’ha fatto: dopo il matrimonio, ha smesso di comporre».

In due secoli cosa è cambiato per le musiciste, e per le pianiste in particolare?
«La situazione è decisamente migliorata: non siamo tantissime, ma comunque tante. C’è stato uno step fondamentale per l’emancipazione: io sin da piccolissima piccola sono cresciuta con la convinzione di potermi immaginare in questa professione. La Argerich per me è stata un modello di pianista in generale (suona da Dio!), e di donna pianista in particolare: ormai esistono punti di riferimento. Nel caso delle compositrici la strada da percorrere è più lunga: ce ne sono di brave, ce ne sono parecchie, però è un dato di fatto che il 95 per cento della musica classica eseguita sia maschile. Una discriminazione non attuale, ma il risultato di secoli di discriminazione culturale».

 

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