Giussy Farina: “Agnelli pagò una parte in nero per Paolo Rossi. Berlusconi? Fui costretto a vendergli il Milan”. Giussy Farina su Gianni Agnelli, Silvio Berlusconi e non solo, l’ex presidente del Lanerossi Vicenza e del Milan, 89 anni, si racconta rivelando alcuni retroscena in una intervista a ‘Il Corriere della Sera’. Ve ne proponiamo alcuni passaggi.
Le manca la guida?
«Non stravedo per le auto. I soci del Milan mi donarono una Rolls-Royce verdina. Mai usata. Mi bastavano il fucile da caccia, le galline e la mia collezione filatelica di annulli del Lombardo-Veneto».
Quante squadre ha avuto?
«Ma è Rischiatutto? Fammi pensare… Milan, Padova, Vicenza, Audace, Valdagno, Legnago, Schio, Rovigo, Belluno, Rovereto, Modena, Palù».
Accipicchia. Sono 12.
«Volevo comprare anche il Venezia. E il Verona, ma arrivò prima il conte Pietro Arvedi d’Emilei. In 35 anni di calcio almeno uno scudetto me lo sarei meritato, o no?».
[…] Possedeva tenute ovunque.
«Per la verità le possedeva la mia prima moglie, la contessa Carla Rizzardi, 88 anni. È in Grecia a fare trekking».
Ne ha avute di fiamme.
«Non ero un cornificatore seriale. Se capitava… Fino ai 40 anni non ho corteggiato nessuna, semmai venivo corteggiato. Tutti a consigliarmi: “Compra il Milan, vedrai quante donne cadranno ai tuoi piedi”. Manco una».
[…] Tutto perduto per i debiti del Milan: 13 miliardi di lire.
«Andai da Silvio Berlusconi ad Arcore. Prendilo tu, gli dissi. “T’invidio quella bella testa di capelli neri”, mi rispose. Fui arrestato per un reato, il falso in bilancio, che oggi non esiste nemmeno più. Il mio avvocato s’era accordato con il pm Ilio Poppa perché mi rilasciasse subito. Invece mi tennero in cella 48 ore. Cominciai lo sciopero della fame. I g’ha ciapà paura. Il lunedì, prima di liberarmi, mi portarono in mensa: g’ho fato ’na magnàda che ancora ce l’ho in mente. “Se non passi tre giorni in galera, in Italia non sei nessuno”, commentò mia sorella. Aveva ragione».
Giussy Farina: “Agnelli pagò una parte in nero per Paolo Rossi”
Odia ancora Berlusconi?
«Continuavo a chiedere: ma è morto? Ora che se n’è andato, quasi mi dispiace».
Litigò con Gianni Agnelli.
«Mi convocò a Torino: “Voglio Paolo Rossi”. Glielo ridò fra un anno, replicai. “No, adesso”. Andammo alle buste. Io lo valutai 2,4 miliardi di lire, l’Avvocato 900 milioni. Quello stesso anno il Vicenza fu retrocesso in serie B. Capito come funziona il calcio?».
Rossi infine tornò alla Juve.
«Agnelli mi diede anche 1 miliardo in nero. Non rammento come lo spesi, giuro».
[…] Al Milan come ci arrivò?
«Nel 1982 ero a tavola con amici al Principe di Savoia. Entrò Felice Colombo, presidente rossonero: “Basta, sono stufo della squadra. Se trovo qualcuno che mi dà 3 miliardi, gliela tiro dietro”. Avevo accanto Carlo Bonfante, ragioniere in pensione di Isola della Scala, il mio contabile di fiducia, più fedele di una moglie. Gli dissi: ragioniere, scriva. “Come da proposta in presenza di testimoni, accetto l’acquisto del Milan per 3 miliardi di lire”. E feci spedire una raccomandata».
“Dal Cavaliere ne voleva 20.
«Berlusconi me ne offriva 15. Mi chiamò Giampiero Armani, azionista della squadra rossonera: “La compro io per 20”. L’indomani il petroliere piacentino ricevette una telefonata da Bettino Craxi: “Quell’affare non è per te”. E così non si presentò dal notaio. Invece arrivò la Finanza. Tutti i beni che avevo dato in garanzia, inclusa la casa di Verona della mia prima moglie, mi vennero portati via».
Chi fu il miglior calciatore?
«Franco Baresi. Dava tutto sé stesso. Parlare con lui era parlare con un uomo».
Credevo Gianni Rivera.
«Mentre a Milano attraversavamo la strada con Nereo Rocco, stava per finire sotto il tram. “Ti xe propio un mona!”, lo sgridò El Parón».
Il più grande allenatore?
«Héctor Puricelli. È stato come un padre, per me».
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