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Spettacolo

Fabrizio Moro: “Relazioni tossiche? Mi sono perso diverse volte per un motivo. Per droga o incidenti ho perso molti amici”

Fabrizio Moro: “Relazioni tossiche? Mi sono perso diverse volte per un motivo. Per droga o incidenti ho perso molti amici”. Fabrizio Moro sulle relazioni tossiche e non solo, il cantante calabrese, 48 anni, si racconta a tutto tondo parlando anche dei momenti più difficili in una intervista a ‘Il Corriere della Sera’. Ve ne proponiamo alcuni passaggi.

Ha scritto di relazioni non sane, tossiche.
«Un problema in cui mi sono perso diverse volte, per via di quella ricerca costante di un po’ di adrenalina. Nel nostro immaginario pensiamo di ambire alla pace, alla serenità, però poi, alla fine, mi sono accorto che nelle relazioni andavo sempre alla ricerca di sensazioni forti, quelle che ti danno i rapporti quando iniziano: è come se generassero sostanze che ti fanno sentire vivo e che, al tempo stesso, creano dipendenza».

E come si spezzano questi meccanismi?
«Niente, aspetti che invecchi e ti rompi. Ora ho l’antenna per le montagne russe: se non riesco a leggere bene una persona, cosa che prima mi affascinava, oggi evito. E inizio a sognare davvero la serenità di una passeggiata in riva al mare, magari col tuo cane. Io ci sto arrivando».

Come si è accorto che certe sue relazioni non erano sane?
«Perché mi portavano a fare cose assurde, perdevo il controllo delle mie emozioni. Si innescano delle dinamiche che tirano fuori il peggio di ognuno: mi guardavo allo specchio e mi dicevo “possibile che io sia così brutto?”. Basta un minimo di autoanalisi per rendersene conto. In genere, quando queste storie finiscono ti senti peggiorato: risultano dei fallimenti. Non sei felice per aver comunque creato qualcosa. Anzi, io mi sentivo logorato per aver sofferto e fatto soffrire. L’obiettivo dovrebbe invece essere sempre quello di migliorare,lavorando sulle lacune della nostra anima».

Fabrizio Moro: “Relazioni tossiche? Mi sono perso diverse volte per un motivo”

[…] Dove è cresciuto?
«Nella periferia di una periferia: Setteville nord, periferia di San Basilio. Mi ci sono trasferito a 14 anni: non c’era niente. Non c’erano strade asfaltate, non c’era un bar… c’erano solo 50 ville con solo il primo piano finito e sopra tutto da fare. In quel contesto, noi ragazzini ci siamo conosciuti e siamo cresciuti, attorno a un muretto del quartiere. Passavamo Natale insieme, le vacanze insieme… si era creata questa piccola comune. E nei miei ricordi di allora c’è sempre il sole».

Nell’ep c’è anche un brano dedicato a quelle persone, che si intitola proprio «Il sole».
«Mi riaggancio ai momenti più belli che abbiamo vissuto assieme, in estate. Molti amici li ho persi. Alcuni morti per la droga, perché allora circolava ancora in maniera importante. Altri sono morti in incidenti stradali. Tra loro, il mio migliore amico: morto in moto, a 23 anni. Quando subisci la prima morte violenta smetti di essere un adolescente e cresci di colpo. Diventi uomo in un minuto, perché realizzi che le cose possono accadere e non dipende tutto da te, anche se da adolescente ti mangeresti il mondo».

[…] Cosa faceva quando andava al muretto?
«Ero l’unico che suonava la chitarra. Avevo 15 anni e iniziavo a strimpellare le prime canzoni di Ligabue, uno dei miei cantautori preferiti. Tutte le sere andavo lì e suonavo. Gli altri cuccavano, io mai: io rimanevo con la chitarra».

Chi l’ha spinta a suonarla?
«L’ho deciso io e ho imparato a suonarla da autodidatta. La prima volta è stata quando sono andato a casa di un mio compagno di classe di terza media, Giorgio. Lui era in fissa con gli Iron Maiden… fa impressione pensare alla differenza di gusti che c’è con i ragazzini di oggi… comunque, io ero un metallaro perso: lui suonava la batteria e abbiamo pensato che se avessi imparato a suonare la chitarra avremmo formato una band. Mio cugino Ciccio mi ha regalato quella che teneva in soffitta: aveva quattro corde. Ho iniziato a provare. Poi dei ragazzi più grandi mi hanno insegnato a suonare Battisti, Vasco…».

Fabrizio Moro: “Per droga o incidenti ho perso molti amici”

[…] E con la sua famiglia?
«Siamo uniti ma non posso dire di avere lo stesso legame. Ci vogliamo bene, certo. Ma non siamo empaticamente così affiatati. Mio padre fa il contadino: un calabrese che si è trasferito a Roma da piccolo, lavora nei campi da quando aveva 12 anni… non è un sognatore, ha mantenuto sempre i piedi per terra».

E quando gli ha detto che voleva fare il cantante?
«Mi diceva: tu sei pazzo. Non erano contemplati sogni del genere nelle nostre vite. Di base, il rapporto tra noi è rimasto così. Mio padre questo disco non l’ha ancora sentito… magari se lo va a comprare da solo, ma senza dirmi nulla. Di certo non è il padre che mi dà consigli».

Questa cosa la fa soffrire?
«È un equilibrio che abbiamo trovato. Anche quando sono andato a Sanremo non mi ha detto nulla e se lo facesse penso che io mi imbarazzerei: è un uomo radicato a terra, la mia è una dimensione che non gli appartiene. È un rapporto molto strano da decifrare, ma è così. Anche quando faccio concerti particolarmente grossi, magari a Roma, io mio padre non lo vedo, non mi viene a trovare in camerino. Preferiamo tutti e due così, vederlo mi scompone. Del resto è lui che mi ha cresciuto in questo modo».

Lei che tipo di padre è con i suoi figli?
«Io faccio completamente il contrario di quello che mio padre ha fatto con me. Proprio perché ho vissuto questa relazione, con i miei figli sono aperto, parlo di tutto e cerco sempre di capire la loro interiorità, senza invaderla».

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