Barbara Ronchi: “Io laureata col massimo dei voti ho iniziato tardi a recitare. Vi racconto Bellocchio e Cecchi”. Barbara Ronchi laureata col massimo dei voti, non solo attrice bravissima, la 41enne romana ripercorre le tappe più significative della sua vita in una intervista a ‘Io Donna’. Ve ne proponiamo alcuni passaggi.
[…] Non ha sempre pensato di fare l’attrice, tant’è che aveva intrapreso altri studi. C’è stata una vocazione tardiva?
“In fondo ci avevo sempre sperato, fin da bambina, ma non riuscivo a dirmelo. Pur frequentando laboratori di teatro, nel doposcuola, e poi recitando, da dilettante”.
Aveva paura? Oppure le dicevano: «Studia, trovati un mestiere vero»?
“I miei mi hanno sempre supportata, si fidavano di me. Ho deciso io di iscrivermi all’università, mi sono laureata in archeologia classica, perché mi piaceva studiare, volevo avere un bagaglio culturale”.
Era una secchiona?
“No, però mi piaceva passare il tempo sui libri, mi sono laureata in tempo, col massimo dei voti. Mi piace tuttora studiare, ma quando si è presentata l’occasione ho cambiato strada senza esitazione. Stavo facendo uno spettacolo in un piccolo teatrino, ci vennero a vedere per caso alcuni insegnanti dell’Accademia e mi chiesero se avevo mai pensato di fare l’attrice sul serio. Io nemmeno sapevo che esistesse un’accademia, la recitazione per me era un hobby. Allora ho fatto il test di ammissione e, a 24 anni, sono entrata. Ero tra le più grandi della mia classe, avevo un’età in cui di solito ci si diploma. Ma ho potuto fare ancora ruoli da ragazza per un po’”.
E da subito ha iniziato a lavorare in teatro…
“Con Carlo Cecchi con cui avevamo fatto il saggio finale in Accademia e con cui poi ho lavorato per anni. Mentre giravo Fai bei sogni, ero anche in teatro con lui per La dodicesima notte. Un altro incontro bellissimo, il mio primo maestro”.
Un apprendistato duro, focoso, quello con Cecchi?
“È molto esigente, ti chiede cose semplici, ma che tendiamo dimenticare. Diceva: «Dimenticatevi di voi, annoiatevi di voi! Quello che dite lo dite all’altro, pensate a chi avete davanti, non dite le battute per dirle bene, ma per cambiare qualcosa nella persona di fronte a voi». E in questo era anche molto duro, non perdonava i vezzi, gli abbellimenti, la ricercatezza nel pronunciare certe battute. Ma erano durezze giuste e comprensibili”.
[…] Dall’incontro con Marco Bellocchio che lezione trae?
“L’incontro rinnovato con lui credo mi stia dicendo che, come artista, mi devo concedere di allenare continuamente l’immaginazione, come fa lui. Marco fa film unici immaginando come sarebbero andate le cose se… Come se fosse stato diretto testimone di quello che accadeva. «Che cosa pensava quel bambino rapito dalla sua famiglia, cosa pensava il papa, cosa elucubrava il suo segretario…» si chiede. Si mette nei panni di tutti, per raccontare una storia intima, ma gigantesca, inserita dentro una Storia più grande”.
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