Djokovic: “Un lupo mi spaventò a 10 anni, da allora sono come lui. Mai stato no vax. Impossibile essere amici a Federer e Nadal”. Novak Djokovic, il lupo e quell’incontro che gli ha segnato la vita. Il tennista serbo, 36 anni, considerato uno dei migliori di tutti i tempi, si racconta a cuore aperto in una intervista a ‘Il Corriere della Sera’. Ve ne proponiamo alcuni passaggi.
[…] Qual è il suo primo ricordo?
«La montagna. Kopaonik, nel Sud della Serbia. Mio padre mi portava con sé a sciare, avvolto in una sciarpa, quando avevo sette mesi: questo ovviamente me l’ha detto lui, non sarebbe un ricordo ma un trauma…Un giorno ero solo nella foresta, avrò avuto dieci anni, e ho incontrato un lupo».
Djokovic: “Un lupo mi spaventò a 10 anni, da allora sono come lui”
Un lupo?
«Un lupo. Provai una paura profonda. Mi avevano detto che in questi casi bisogna indietreggiare lentamente, senza perderlo di vista. Ci siamo guardati per dieci secondi, i più lunghi della mia vita; poi lui ha piegato a sinistra e se n’è andato. Provai una sensazione fortissima che non mi ha mai abbandonato: una connessione d’anima, di spirito. Non ho mai creduto alle coincidenze, e pure quel lupo non lo era. Era previsto. È stato un incontro breve, ma molto importante».
Perché?
«Perché il lupo simboleggia il mio carattere. Sono molto legato alla mia famiglia, e cerco di essere disponibile con tutti; ma a volte devo stare da solo. Spesso nella vita mi sono ritrovato solo. Solo con la mia missione, con i miei obiettivi da raggiungere. Sono rimasto connesso con quel lupo. Anche perché il lupo per noi serbi è sacro. È il nostro animale totemico. È il simbolo di una tradizione nazionale, di una fede ancestrale che precede il cristianesimo. Una religione prima della religione».
[…] Com’è stata la sua infanzia?
«Libertà totale. Senza telefoni: quando calava il sole era il segnale che dovevo tornare a casa. La foresta, la natura sono state fondamentali per la mia formazione, vorrei che pure i miei figli stessero il più possibile all’aria aperta. A quattro anni mi regalarono la prima racchetta; ma nessuno di noi aveva mai giocato a tennis, nessuno sapeva cosa fosse. Eravamo una famiglia di sciatori, il nostro idolo era Tomba la bomba».
Djokovic tennista per destino
Poi sulla montagna arrivò Jelena Gencic, l’ex tennista che la scoprì.
«I miei gestivano una pizzeria, si chiamava Red Bull. Proprio di fronte costruirono i campi da tennis. Avevo sei anni. Non so se era scritto nel destino che dovessi diventare un campione, le ho detto che non credo alle coincidenze, nulla avviene per caso e tutto ha una ragione; ma credo alla fortuna. E fu una fortuna che arrivasse Jelena. Non c’era posto per me nel corso, e io da dietro il reticolato guardavo gli altri bambini giocare. Poi accesi la tv alla ricerca di una partita di tennis, e c’era la finale di Wimbledon: Sampras batté Courier. Il mattino dopo Jelena si avvicinò e mi chiese: buongiorno piccolo ragazzo, sai cos’è il tennis? Io risposi: sì, ieri ho visto la finale di Wimbledon! E lei: vuoi provare?».
[…] La chiamavano Novax Djokocovid.
«Io non sono no vax e non ho mai detto in vita mia di esserlo. Non sono neppure pro vax. Sono pro choice: difendo la libertà di scelta. È un diritto fondamentale dell’uomo la libertà di decidere che cose inoculare nel proprio corpo e cosa no. L’ho spiegato una volta alla Bbc, al ritorno dall’Australia, ma hanno eliminato molte frasi, quelle che non facevano comodo. Così non ho mai più parlato di questa storia».
Com’era il posto in cui l’hanno trattenuta in Australia?
«Un carcere. Non potevo aprire la finestra. Io sono rimasto meno di una settimana, ma ho trovato ragazzi, profughi di guerra, che erano lì da moltissimo tempo. Il mio caso è servito a gettare luce su di loro, quasi tutti sono stati liberati, e questo mi consola. Un giovane siriano era lì da nove anni».
Djokovic: “Mia moglie? Era fidanzatacon un altro tennista, poi…”
[…] Lei sta da tutta la vita con la stessa donna, e anche lei si chiama Jelena. Come l’ha conosciuta?
«In un circolo di tennis di Belgrado. Io avevo 16 anni, lei 17, e stava con un altro tennista. Lui vinse un torneo, sollevò la maglietta e sulla canottiera aveva scritto: Jelena, ti amo. Lo prendemmo in giro, ma dentro di me pensai: chi sarà questa Jelena? Non gliel’ho portata via, si erano già lasciati. Lei è andata a studiare in Italia, alla Bocconi, io mi allenavo con Riccardo Piatti a Montecarlo, siamo rimasti a lungo lontani. Ogni tanto mi veniva a trovare in treno, andavo in macchina a prenderla a Ventimiglia, quanto tempo passato in quella stazione… Se poi avesse cominciato a lavorare ci saremmo perduti, con la vita che faccio; rinunciare era l’unico modo per stare insieme. Lavorò tre, quattro mesi; poi scelse me».
[…] Com’è stato davvero il suo rapporto con Federer?
«Non siamo mai stati amici, tra rivali non è possibile; ma non siamo mai stati nemici. Ho sempre avuto rispetto per Federer, è stato uno dei più grandi di tutti i tempi. Ha avuto un impatto straordinario, ma non sono mai stato vicino a lui».
È vero che all’inizio eravate amici con Nadal, ed è finita quando lei ha cominciato a batterlo?
«No. Nadal ha solo un anno più di me, siamo tutti e due dei Gemelli, all’inizio siamo anche andati a cena insieme, due volte. Ma anche con lui l’amicizia è impossibile. L’ho sempre stimato e ammirato moltissimo. Grazie a lui e a Federer sono cresciuto e sono diventato quello che sono. Questo ci unirà per sempre; perciò provo gratitudine nei loro confronti. Nadal è una parte della mia vita, negli ultimi quindici anni ho visto più lui della mia mamma…».
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