Irma Testa: “Coming out? Non avevo mai parlato. Io pioniera ma in Italia la boxe femminile è indietro. Spero di vedere ragazzine in palestra”. Irma Testa sul coming out e non solo, la campionessa di boxe napoletana, 25 anni, medaglia d’oro ai Mondiali di boxe, si racconta a tutto tondo in una intervista a ‘Il Corriere della Sera’. Ve ne proponiamo alcuni passaggi.
È stata la prima pugile italiana alle Olimpiadi (Rio 2016, a 18 anni), la prima sul podio olimpico (bronzo a Tokyo 2020), la prima a segno in tutte le rassegne (terza a vincere l’oro iridato dopo Alessia Mesiano e Simona Galassi), la prima a fare coming out: a mamma Anna l’ha detto quando aveva 15 anni.
«Non avevo mai parlato di queste cose con lei, ma ha aperto i suoi pensieri e ha capito: ci si può innamorare di chiunque».
[…] Cosa c’è dietro l’oro di Nuova Delhi?
«C’è l’emozione più bella che potessi vivere. Al titolo mondiale ero già andata vicina l’anno scorso a Istanbul, quando fui sconfitta in finale. Mi era rimasto l’amaro in bocca. Questa medaglia la volevo a tutti i costi ma avevo paura: ricordavo quella brutta sensazione di non farcela».
Come ha cambiato i suoi pensieri, quindi?
«L’anno scorso ero insicura e intimorita, più attenta a non fare errori che a portare i colpi. Sul ring contro la kazaka mi sono sentita sola però anche concentrata e determinata come mai prima. Irma, mi sono detta, stai tranquilla e divertiti. Gli errori insegnano: mentalmente, questa volta, ho avuto un approccio diverso».
Irma Testa: “Coming out? Non avevo mai parlato prima di dirlo a mia madre “
Il ruolo di pioniera le piace?
«Mi piace l’idea di aver gettato il seme del cambiamento, ma c’è ancora molta strada da fare: in Italia il pugilato femminile vince di più di quello maschile, che a Tokyo non c’era, eppure parliamo di una disciplina ancora considerata per uomini. Non è più così. Quanto a me, sono la donna immagine del movimento ma non sono la sola. Conquistare un oro fa bene allo sport femminile in generale».
Perché le mamme dovrebbero portare in palestra le figlie anziché a volley o scherma?
«Intanto dovrebbero sempre essere i figli a chiedere di essere portati, magari dopo aver provato varie discipline. Il pugilato è uno sport completo: forma il corpo e la mente. Io ero ribelle e irrequieta, non stavo mai ferma: quando uscivo dalla palestra ero una bambina diversa. Il pugilato è un lavoro su se stessi: al sacco non picchi solo l’oggetto, in realtà stai prendendo a cazzotti tutti i tuoi problemi, le tue fragilità e insicurezze. È un esercizio catartico. È una disciplina».
Ancora zavorrata da stereotipi e preconcetti, però.
«Come il calcio femminile: fa venire le gambe grosse, fa diventare omosessuale… Ma quando mai? Il mio sogno è vedere le palestre piene di bambine: prima dei 12 anni non tiri pugni, però entri in un mondo pieno di regole e valori. Ed è falso anche che tirando di boxe ti rompi il naso o gli zigomi: in un incontro ci sono molti meno infortuni che in altri sport considerati non violenti. Il pugilato ti fa crescere».
Mentre lei vinceva l’oro, la sua collega Sirine Chaarabi, 23enne di Caserta di origine marocchina, conquistava l’argento nei 52 kg. Sirine è nata in Tunisia, vive in Italia da quando aveva 18 mesi, ha dovuto scrivere una lettera al presidente Mattarella e aspettare i 21 anni per ottenere cittadinanza e passaporto mentre per Mateo Retegui, argentino con il nonno di Canicattì, debuttante della Nazionale di Mancini, la burocrazia ha bruciato i tempi.
«Non voglio parlare per Sirine, che finalmente ha la cittadinanza italiana a differenza delle sue due sorelle, una maggiore e l’altra gemella. Mi sembra una sciocchezza che l’abbia avuta per meriti sportivi quando avrebbe potuto indossare la maglia azzurra a 14 anni: è un gran talento, la conosco da sempre, parla il dialetto meglio di me. Faceva i ritiri insieme a noi ma poi non poteva gareggiare: l’ho vista soffrire per anni. Abbiamo negato il passaporto a un’italiana perdendoci tanti successi e medaglie. Trovo molto ingiusto che Sirine non abbia potuto avere il mio stesso percorso».
Irma Testa: “In Italia la boxe femminile è indietro. Spero di vedere ragazzine in palestra”
Percorso in salita: «Dieci anni di sacrifici», ha detto.
«Rifarei tutto. Sono andata via di casa a 14 anni, ne ho 25. Ad Assisi mi sono abituata a tutto: ritmi, orari, dieta, allenamenti. Sono un’atleta: le mie esigenze sono poche. Infatti mi trovo benissimo. Ma la lontananza è stata dura da digerire: sono cresciuta a centinaia di chilometri da una mamma che oggi è felicissima per me. Hai trovato la tua strada, sei diventata una donna migliore, mi ripete. Ecco, per me questo è l’amore di una madre: saper capire cosa vogliono i figli e cosa è giusto per loro, senza interferire. Il senso del mio percorso, in fondo, è questo».
[…] Da bambina, a Torre Annunziata, si ricorda che sogni aveva?
«Non avevo né sogni né grandi ambizioni e nemmeno poster di idoli appesi in cameretta. Sono entrata in palestra a 12 anni: da quel momento l’obiettivo è stato diventare una pugile professionista e mantenermi con il mio sport. Non ero una studentessa modello, pochissime femmine continuano gli studi a Torre Annunziata: molte si fermano alle medie, quando hanno già un fidanzatino che poi sposeranno e con cui faranno subito figli, sperando che lui non finisca arrestato. Sembra un film, invece è tutto vero».
[…] Senza che la domanda suoni pruriginosa: c’è un amore?
«No, un amore non c’è. Non c’è nemmeno un’esigenza: se arriva, arriva. Non me ne priverei. Certo bisognerebbe trovare l’equilibrio tra preparazione olimpica, di cui dopo due edizioni dei Giochi conosco a memoria le dinamiche, e relazione. L’amore è imprevedibile: tocca il cuore come nessun allenamento, per quanto estenuante, può fare. L’amore vero non è morboso né tossico: deve aggiungere, non togliere».
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