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Lily Collins: “Stereotipi a Emily in Paris? C’è una differenza tra Francia e Usa. Ho scelto Cartier per un motivo”

Lily Collins: “Stereotipi a Emily in Paris? C’è una differenza tra Francia e Usa. Ho scelto Cartier per un motivo”. Lily Collins sugli stereotipi a Emily in Paris, l’attrice anglo-americana, 33 anni, figlia del grande batterista Phil Collins e dell’attrice californiana Jill Tavelman, ne parla in una intervista a ‘Io Donna’. Ve ne proponiamo alcuni passaggi

[…] Che cosa pensa del successo di Emily in Paris nel mondo?
“La prima stagione è uscita nell’ottobre 2020, quando eravamo ancora immersi nella pandemia. È una serie che celebra l’evasione, i viaggi, la moda, il divertimento e la gioia di vivere, e ha permesso a tutti di sorridere nel momento in cui ne avevamo più bisogno. Quando siamo tornati a Parigi a girare le stagioni successive gli abitanti ci hanno accolto in modo fantastico”.

Eppure, in Francia le critiche non sono mancate. Molti hanno accusato la serie di dipingere una Parigi da cartolina, troppo bella e glamour per essere vera.
“Ma è una serie tv che si fonda sulla sospensione dell’incredulità che abbiamo tutti quando guardiamo un film. Soprattutto la prima stagione racconta l’ingenuità di Emily, il suo sbarcare a Parigi piena di innocenza e di curiosità. Mano a mano, il suo sguardo diventa più complesso e realistico, ma Parigi nella serie è una protagonista, un personaggio creato da Darren Star (già regista di Sex and the City, ndr), che costruisce storie destinate a rimanere nella cultura pop usando un’estetica molto specifica. Se cercate un documentario, non è quello che vi daremo, ma credo che il cuore e l’anima della città emergano comunque dalle esplorazioni dei vari personaggi”.

[…] Perché Parigi è così importante nell’immaginario americano, dall’«avremo sempre Parigi», battuta del film Casablanca, in poi?
“A Parigi trovi l’accesso al passato e lo slancio verso il futuro. Storia e cultura sono più radicate e si estendono per molto più tempo rispetto all ‘America, è un fascino irresistibile. Ha qualcosa di esotico e allo stesso tempo confortevole, perché è raccontata al cinema da decenni. Le persone sentono di conoscerla, eppure resta ancora abbastanza estranea da essere intrigante da esplorare. È una città in cui puoi perderti e trovare sempre qualcosa di nuovo e di bello, senza avere paura”.

Lily Collins: “Stereotipi a Emily in Paris? C’è una differenza tra Francia e Usa”

Quanto all’etica del lavoro, uno dei temi della serie è che i francesi sembrano lavorare meno degli americani. Sono solo stereotipi o c’è un fondo di verità?
“È uno dei motivi per cui Parigi attrae tanto: la qualità della vita. A Parigi non si vive per lavorare, si lavora per vivere. La professione è fondamentale anche qui, certamente, ma la spinta ancora più importante è l’ambizione a vivere bene. Questo equilibrio tra vita privata e professionale è straordinario, e rende Parigi e la Francia diverse dagli Stati Uniti”

Si può dire che Emily in Paris sia una serie femminista?
“Sicuramente celebriamo le donne di tutte le età in un modo che non molti spettacoli hanno fatto. E anche al di fuori della serie, le attrici di Emily in Paris si mostrano in modo potente, eclettico e sicuro: da Philippine Leroy-Beaulieu (Sylvie), che è fantastica, è stato un onore lavorare con lei, a Ashley Park (Mindy) a Camille Razat (Camille) a Kate Walsh (Madeline). Sono donne non omologate, che possono impegnarsi nel lavoro ed essere innamorate dell’amore, senza bisogno di scegliere l’uno o l’altro”.

[…] Perché ha scelto di essere ambasciatrice di Cartier?
“Come dicevo prima cerco di essere autentica in ogni cosa che faccio, e se ho scelto Cartier è perché i miei genitori avevano entrambi orologi Cartier. Mia madre in particolare portava un orologio da uomo, molto grande per il suo polso, che mi affascinava molto. C’è un dualismo nella maison che mi piace: duro e morbido, pratico e onirico, maschile e femminile”.

[…] È vero che da bambina Carlo d’Inghilterra l’ha tenuta sulle ginocchia?
“Sì ( ride), ero con la mia famiglia a un evento del “Prince’s Trust”, l’organizzazione di beneficenza fondata dall’allora principe Carlo. Lui mi ha fatta giocare, ma ero così piccola che non mi rendevo conto di cosa stessi facendo”.

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