Lino Guanciale: “Sono innamorato di Taranto. Piantedosi? Mi chiedo come possano venire in mente a un essere umano frasi di quel tipo”. Lino Guanciale innamorato di Taranto, su Piantedosi, e non solo, l’attore abruzzese, 44 anni, a tutto tondo in una intervista a ‘Il Corriere della Sera’. Ve ne proponiamo alcuni passaggi.
Guanciale, cosa le ha lasciato Taranto?
«Ho trovato degli amici veri, prima di tutto. Taranto è proprio una rivelazione. Se arrivi solo con il carico di narrazione sulla città, l’arrivo ti conferma l’immagine che ti sei fatto: il panorama aranciato dalle polveri industriali, lo stato di abbandono di larga parte del centro storico su quella meravigliosa isola».
C’è un però?
«Poi ci stai e scopri una città dove si sente il respiro della storia, in modo ancestrale. Si sente che è stata una capitale, un fascino enorme. A me è successo di innamorarmi di un posto così bello e così tragico. Ho visto tanta voglia di lavorare, di investire nel futuro. Ho conosciuto giovani che fanno vivere spazi culturali interessanti. Nel centro storico si sta procedendo a un recupero intelligente. Cominciano ad arrivare turisti e restano ammaliati dal fascino di una decadenza in cui riconosci enormi potenzialità».
Ma ormai viene in Puglia non solo per lavoro, giusto?
«Per girare vengono tutti: c’è una delle film commission più capaci di attrarre produzioni e un territorio talmente bello e vario. Ma ora sono pugliese acquisito da stato civile (ride), mia moglie è di Noci. Per me è casa, è famiglia. Anche se è stata una scoperta tardiva nella mia vita».
Lino Guanciale: “Sono innamorato di Taranto”
Si è definito un ragazzo fortunato, quanto conta la buona sorte?
«Direi 60 per cento talento, 40 fortuna, sotto forma di occasioni che ti capitano. Vediamo spesso attori che arrivano al successo tardi, altri che non ci arrivano mai: le occasioni sono un territorio opaco in cui è difficile orientarsi. Sono stato fortunato perché a un certo punto di un percorso fissato su teatro e cinema d’autore, ho avuto la possibilità di cominciare a far televisione. Entrare in casa di milioni di persone mi ha permesso di fare personaggi che non avrei mai immaginato. Quando lanci i dadi non sai mai quando, e se, uscirà il tuo numero».
Sia con il Cagliostro della Porta Rossa che in Ricciardi si mescolano poliziesco e paranormale. Non è proprio pane quotidiano per il pubblico Rai.
«Tutti ci chiedevamo come sarebbero state accolte. Con Ricciardi avevamo il precedente della serie letteraria di De Giovanni, e il suo pubblico esigente ci attendeva al varco. La Porta rossa l’abbiamo girata proprio in apnea, cercando di non pensarci, convinti da una bella sceneggiatura e dal grande cast».
[…] Da testimonial Unhcr, come giudica le parole del ministro dell’Interno, Piantedosi?
«Ammiro la capacità di sparare sentenze sulla disperazione altrui, a me non è stata data. Mi chiedo come possano venire in mente a un essere umano frasi di quel tipo: non si sindaca sulla disperazione, un popolo di migranti dovrebbe saperlo. Ho parenti che hanno fatto viaggi terrificanti coi propri figli per andare a lavorare. Come ha scritto qualcuno, quindi per combattere i morti sul lavoro non dovremmo andare a lavorare. L’Italia non può affrontare da sola il problema, è vero. Ma se fai un viaggio simile è perché non hai niente e dove sei rischi di morire».
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