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Giovanni Minoli: “Mixer torna per un motivo preciso. Anni ’80? Sbagliato ridurli a quella battuta”

Giovanni Minoli: “Mixer torna per un motivo preciso. Anni ’80? Sbagliato ridurli a quella battuta”. Giovanni Minoli su Mixer, il giornalista dal prossimo giovedì, 12 gennaio, torna con lo storico rotocalco che andrà in onda ogni giovedì in seconda serata su Rai3. Ne parla in una intervista rilasciata a ‘Tv Sorrisi e Canzoni’ della quale ve ne proponiamo alcuni passaggi.

Minoli, cosa significano gli Anni 80 per lei?
«È un decennio che molti non capirono allora e continuano a non capire oggi. In quegli anni la modernità arrivò nella società italiana: la moda, la finanza, l’informazione globale… eppure c’è ancora chi li liquida con l’ironia sulla “Milano da bere”. Anche la tv cambiò, e “Mixer” ne è un esempio. Non sembra neppure una trasmissione di oggi, ma di domani. Perché era molto più veloce dei talk show che vanno di moda adesso: oggi con cinque ospiti fai due ore di trasmissione. Io in 100 minuti mostravo anche dieci servizi o reportage».

Che criterio ha seguito per scegliere questo o quel filmato, nello sterminato archivio della trasmissione?
«È semplice: in ogni puntata racconteremo un anno, e io introdurrò i servizi che meglio lo rappresentano e che sento più attuali. Per esempio nella quarta puntata vedrete un reportage di Marcella Emiliani sull’Islam e il burqa che sembra fatto oggi in Afghanistan».

Come nacque “Mixer”? Qual era il suo punto di forza?
«“Mixer” è nato con l’invenzione del telecomando e delle tv private. Decidemmo che, prima che gli spettatori cambiassero canale, lo avremmo fatto noi. E così ogni dieci minuti il programma cambiava. C’erano i confronti tra gli ospiti, poi il cinema curato da Leo Benvenuti, lo spettacolo di Isabella Rossellini, lo sport di Gianni Minà, e poi naturalmente i miei “Faccia a faccia”. Alla fine appaltavamo anche uno spazio a un comico (cosa che oggi fanno tutti) come Paolo Villaggio».

Parliamo di questi collaboratori d’eccezione. Perché proprio loro?
«Gianni Minà aveva la più incredibile agenda che abbia mai avuto un giornalista. Poteva alzare il telefono e chiamare Maradona o Cassius Clay. E sa perché? Perché era simpaticissimo. I personaggi lo adoravano. Leo Benvenuti, come sceneggiatore, ha fatto la storia del cinema. Isabella Rossellini aveva un caratterino puntuto ma era sempre preparata, molto professionale. Paolo Villaggio prendeva in giro Nilde Iotti ma non tutti lo capivano: era lei la “sindacalista impegnata” che però il marito lasciava sempre insoddisfatta».

Giovanni Minoli: “Mixer torna per un motivo preciso”

C’era anche Sandra Milo…
«Era divertente e acuta, ma visto che era anche bellissima faceva la svampita per non spaventare noi uomini, poverini. La sua intervista a Niki Lauda è da antologia. Anche quella a Teddy Reno e Rita Pavone immersi in una piscina. Invece Maurizio Costanzo e Simona Izzo accettarono di entrarci, ma vestiti di tutto punto».

Il momento più memorabile però era quello delle interviste. Nei suoi “Faccia a faccia” lei ha incontrato tutti. Posso chiederle un ricordo personale di alcuni dei personaggi che rivedremo? Paolo Rossi?
«Una grande dolcezza. L’avevo intervistato sullo scandalo-scommesse ed era palesemente innocente, aveva lo sguardo frastornato dell’uomo che era stato preso in mezzo».

[…] L’intervista più sorprendente?
«La scrittrice Marguerite Yourcenar mi chiese in che lingua volevo fare l’intervista perché lei parlava francese, inglese, spagnolo, italiano… Ovviamente scelsi l’italiano, ma mi accorsi che non lo era. Quello che lei credeva italiano era un misto di latino, spagnolo, citazioni letterarie varie e qualche parola imparata durante un soggiorno a Firenze di 15 giorni. Poi tra una risposta e l’altra si scriveva qualcosa sulle cosce, che erano enormi. Alla fine le chiesi un chiarimento e rispose: “Sa, mentre le parlavo mi è finalmente venuta in mente la giusta traduzione di un passaggio dall’aramaico a cui pensavo da giorni, e me la dovevo segnare».

L’intervista più difficile?
«Per avere Enrico Berlinguer dovetti “corteggiarlo” per un anno. A Henry Kissinger (segretario di Stato Usa dal ‘69 al ‘77, ndr) ricordai che aveva sostanzialmente suggerito ad Aldo Moro di “cambiare mestiere” e l’intervista divenne un corpo a corpo al limite dello scontro fisico. E l’ex capo della Cia Stansfield Turner mi piantò in asso perché non voleva parlare del caso Gladio».

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