Alessio Boni: “Io molestato da un produttore. Facevo il piastrellista e il lavapiatti poi quel provino…”. Alessio Boni molestato da un produttore cinematografico, è lo stesso attore bergamasco, 56 anni, a raccontare la vicenda in una intervista a ‘Il Corriere della Sera’. Ve ne proponiamo alcuni passaggi.
«Due cose non puoi scegliere nella vita: in quale luogo nascere e in quale famiglia. Io sono nato nell’ospedale di Sarnico in una famiglia proletaria, di piastrellisti. Mio padre e i suoi parenti facevano questo mestiere a Villongo, e sarebbe stata una cosa normale per lui che io facessi altrettanto. Per un po’ l’ho accontentato, mentre frequentavo le lezioni serali all’istituto di ragioneria, ma mi sentivo ignorante, detestavo quel lavoro, quel tipo di studio e persino il paese che mi circondava. Ogni tanto andavo a piangere di fronte al vicino Lago d’Iseo e mi chiedevo: perché mi capita tutto questo?».
E dopo i pianti?
«Decisi: scappo, vado nelle forze dell’ordine. Faccio la domanda, mi prendono in Polizia. Ero contento, pensavo di diventare un Serpico, ma non mi piacevano tutte quelle gerarchie ingessate e scappo di nuovo, vado negli Stati Uniti e… vedrai, lavorerò in qualche ditta importante, farò import export, imparerò l’inglese… Invece faccio il lavapiatti, il babysitter, anche in nero, sì, cari americani, anche in nero! Ma i soldi per mantenermi non bastano mai e torno in Italia con le pive nel sacco.
Non mi arrendo, il piastrellista proprio no e mi metto a fare l’operatore turistico, comincio ad appassionarmi nel creare quegli spettacolini per gli ospiti del villaggio. Riuscivo sempre a coinvolgere il pubblico. Il capo animatore, osservando le mie discrete capacità di intrattenimento attoriale, un giorno mi dice: perché non provi al centro? Io lo guardo e, siccome eravamo sul Gargano, gli rispondo: il centro di Vieste? E quello ribatte: ma no, il Centro Sperimentale di Cinematografia! Decido di nuovo: vado a Roma, per tentare lo scritto, tanto mi cacceranno… Invece passo lo scritto, poi la seconda fase e alla terza fatidica fase mi trovo davanti dei mostri sacri».
Chi erano?
«Luigi Comencini, Giulietta Masina, Mauro Bolognini… Esordisco, con voce impostata: buongiorno. E Comencini subito mi chiede: Bergamo o Brescia? Oddio!, penso: si sente così tanto? Credevo di non avere un accento così forte. E la selezione non la passo, però è un’iniezione di fiducia».
[…] la sua passione per il teatro fu immediata?
«All’inizio volevo fare solo cinema. Il teatro mi sembrava una roba noiosa per vecchi. Però una sera degli amici romani mi propongono di andare al Sistina. Non c’ero mai stato e ho chiesto consiglio su come vestirmi, figuratevi la risposta… Assisto alla Gatta Cenerentola con Beppe Barra protagonista e mi si scoperchia il cervello: capii che volevo fare teatro e qual era la scuola più importante? L’Accademia Silvio d’Amico. Vado, mi iscrivo per fare il provino».
Alessio Boni: “Io molestato da un produttore negli Usa”
[…] Che succede?
«La commissione era severissima, erano mazzate… Mi è successa una cosa stranissima. Avevo preparato un brano da I sette contro Tebe, ma poco prima che toccasse a me non ricordavo nemmeno la battuta iniziale. Dieci secondi di terrore, una follia: mi vedo recitare dall’esterno, come se stessi in estasi. Sono arrivato fino alla fine senza rendermi conto di ciò che avevo fatto. Però superai la prova».
[…] E il papà piastrellista come reagì al figlio che voleva fare l’attore?
«Si vergognava. I commenti dei paesani erano sprezzanti, gli dicevano: Alessio gira il mondo a spese tue? Io lo capisco, perché veniva dal dopoguerra, si era rimboccato le maniche, era riuscito a costruirsi faticosamente il suo piccolo impero, il negozio di piastrelle, un futuro sicuro per noi tre figli maschi. Si sentiva tradito e avvertivo il peso della sua disapprovazione: avevo i capelli lunghi, i jeans stracciati, giravo il mondo… uno scialacquatore di soldi, anche se mi mantenevo. Quando d’estate tornavo a casa, mi rimetteva a fare il suo lavoro, finché ho detto basta e poi sono arrivate le prime importanti esperienze con gli Strehler, i Ronconi…».
I suoi genitori venivano ad applaudirla?
«All’inizio non capivano cosa stessi facendo. Solo quando acquistai un po’ di visibilità nei primi film, se usciva la mia foto sul giornale, seppi da mia madre che papà ne comprava una decina di copie e le distribuiva a parenti e paesani. Mi fece tenerezza, era la sua rivalsa, come a dire: vedete, mio figlio non è un lazzarone, ha solo voglia di fare un altro lavoro. E la consacrazione arrivò con La meglio gioventù: alla presentazione al Festival di Cannes era presente la famiglia intera. Io mi giro e vedo mio padre, nordico, austero, commosso. Era orgoglioso di me, pur non riuscendo mai a dirmi: bravo».
I sogni americani archiviati?
«Assolutamente no, però mi accadde un episodio sgradevole. Avevo 24 anni, frequentavo ancora l’Accademia e la mia agenzia mandava in giro il mio curriculum per propormi a qualche produttore. Vengo contattato per un incontro in un mega hotel a Piazza di Spagna, dove un produttore americano stava cercando giovani attori per un nuovo progetto. Vengo accolto in una suite imperiale. Non mi esprimevo in un eccellente inglese, ma abbastanza buono e mi scelgono. Mi puzzava un po’ questa scelta: com’era possibile che prendessero proprio me?
Comunque la fortuna può girare, allora parto per l’America e a New York vengo invitato a cena dal produttore in un altro meraviglioso hotel al Central Park. Mi spiega che intendeva fare di me un nuovo divo di Hollywood, però poi… inizia con le avances, dicendomi semplicemente: se diventi il mio amante, diventerai una star. Lo guardai scioccato. Ciò che mi aveva ingannato era che lo sapevo sposato e con un figlio, quindi non mi passava per l’anticamera del cervello la possibilità di una sua proposta sessuale. Riprendo l’aereo e ritorno all’Accademia».
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