Renzo Arbore: “Io laureato, il mio sogno era un altro. Successo? È iniziato tutto con una battuta alla Radio”. Renzo Arbore laureato in Giurisprudenza e con un sogno, il musicista e conduttore ripercorre gioventù ed esordi in una intervista a ‘Tv Sorrisi e Canzoni’. Ve ne proponiamo alcuni passaggi.
Arbore, il testo della sigla di “D.O.C.” era composto dalla sola parola “D.O.C.”, che lei ripeteva giocando con tre microfoni. Si ricorda la prima volta al microfono?
«Certo, era un microfono della radio ed ero paralizzato dall’emozione. Così bevvi un whisky e dissi: “Scusatemi se da sol me presento. Io sono il Prologo”. Feci questa battutina (è l’apertura dell’opera “Pagliacci” di Leoncavallo, ndr) e iniziai la mia corvée a “Bandiera gialla”, con Gianni Boncompagni. Era il 1965 e con Gianni siamo stati i primi dj nella storia della radiofonia italiana».
«Invece di studiare tu vai appresso alla musica»: così la sgridava suo padre, che temeva per i suoi studi. Invece, pur inseguendo le sette note, s’è laureato in Giurisprudenza. Che avvocato ci siamo persi?
«Un penalista. Ma solo se non ce l’avessi fatta a diventare magistrato: il mio sogno era quello».
C’è un sogno che invece non ha realizzato nella sua carriera artistica?
«Mi pesa non aver fatto avere al repertorio della canzone napoletana il riconoscimento di Patrimonio Culturale Immateriale dell’Unesco. Ho cercato di muovere le acque, è una musica che è stata portata in tutto il mondo da interpreti eccezionali, e anche da me: con l’Orchestra Italiana ho fatto 1.600 concerti in trent’anni. Dal 1991 al 2021 ho girato il mondo oltre a tutte le piazze e ai maggiori teatri italiani».
Renzo Arbore: “Io laureato, il mio sogno era un altro”
Come ha fatto a non lasciarsi trasformare in “monumento nazionale”?
«Credo che i lavori importanti siano altri rispetto al mio: penso per esempio a chi tutela la salute del prossimo (mio padre era medico), a chi amministra la giustizia, e a tutti i lavori davvero impegnativi. Però ho avuto la gratificazione di essere nominato Cavaliere di Gran Croce, la nostra massima onorificenza civile, e di questo ringrazio ancora il Presidente Mattarella».
Ricorda spesso le trasmissioni con Boncompagni: è stato un po’ il grande “amore” della sua vita?
«No, il grande amore è stata Mariangela Melato. Gianni è stato un partner da cui ho imparato molto e lui molto ha imparato da me. Avevamo caratteri diversi, ma le nostre passioni si sommavano e quindi abbiamo ottenuto successi straordinari. Pensi ad “Alto gradimento”: è un programma che viene ancora riverito e considerato con molta attenzione. Facevamo un tipo di umorismo senza tempo, astratto, tutto prodotto di fantasia, e non satira su quel che succedeva allora. E per questo non è invecchiato».
Un altro grande “amore”: il clarinetto. Tra i suoi, qual è il preferito?
«È un clarinetto italiano, un Orsi, e me lo porto in tournée ormai da quarant’anni. Me ne hanno regalati altri, ma come riesco a suonare con l’Orsi… È una specie di compagno di vita. Vede, nel jazz il clarinetto non prevarica, ma spalleggia: sta al fianco della tromba, del trombone… Ha un ruolo, insomma, molto vicino a quello che ho avuto nella mia vita nello spettacolo».
[…] Ha spesso lavorato in trasmissioni “corali”, in cui avevamo sempre l’impressione che ci fosse una perfetta sintonia. È possibile che con Renzo Arbore non si litighi mai?
«Accade raramente. Ho avuto momenti di scoramento, di bisticcio, prima di ogni trasmissione importante, ma si sono sempre chiariti subito. Dovendo guidare una “ciurma”, pensi a “Quelli della notte” o a “Indietro tutta!”, bisogna essere molto rigorosi nell’inventare i personaggi e le loro personalità. Quindi c’è sempre un “addestramento”, con tutte le difficoltà del caso. Ma diciamo che il litigio non fa parte del mio curriculum».
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