Gianni Togni: “Sanremo? Mai andato per un motivo. A Luna non credeva nessuno. Fui cacciato dal corso di musica”. Gianni Togni su Sanremo, il primo successo (“Luna”), gli inizi e non solo, il cantautore romano, 66 anni, si racconta parlando a tutto tondo in una intervista a ‘Il Corriere della Sera’. Ve ne proponiamo alcuni passaggi.
E guardo il mondo da un oblò…
«A vent’anni andai via di casa. Il papà della mia ragazza, conosciuta al liceo, si era separato e voleva stare con la nuova fiamma. Poiché la figlia da sola non poteva rimanere, decise che dovevamo convivere nel suo appartamento di piazza Bologna, a Roma. Il primo verso di Luna mi riporta a quel periodo, eravamo giovani, liberi e squattrinati. Mia madre non mi parlò per mesi».
Il suo primo successo è nato lì?
«Sì, in parte. Avevo un giorno per cantare l’intero album, a Milano. Non ci credeva nessuno. Passai una nottataccia prima di entrare in studio, ero nervoso. Uscii dall’albergo, poco prima dell’alba, con le stelle ancora in cielo. E la canzone che si doveva chiamare Anna si trasformò in una dichiarazione d’intenti alla luna».
Era molto legato a Fabrizio Frizzi.
«Lo conobbi che non si era nemmeno affacciato in tv. Stava in radio. La sera invitavamo a cena gli amici. In terrazza avevamo un tavolo da ping pong. Agguerritissimi, organizzavamo tornei, con un fitto calendario di incontri. Il mio nome di battaglia era Smithson, Fabrizio si faceva chiamare Rogers».
È anche amico di Rita Dalla Chiesa?
«Lo sono diventato dopo la fine del suo matrimonio con Frizzi. Era rimasta sola a ristrutturare quello che avrebbe dovuto essere il loro appartamento. Fabrizio mi chiese di aiutarla. Io: “Mica sono un architetto”. Mi convinse. Così mi trovai in mezzo a muratori e calcinacci. Fu divertente però, con Rita non ci siamo più persi di vista, anche se politicamente abbiamo idee diverse».
[…] Imparò da solo a suonare?
«Per forza. Anche perché quando mi iscrissero a lezioni di pianoforte fui cacciato. A mia madre dissero che ero indisciplinato, perché appena imparavo un accordo mi lanciavo a comporre e non seguivo più l’insegnante. Andò meglio con la scuola di canto, ad Ancona, dove abbiamo abitato per un anno. A volte lisciavo il corso perché mi perdevo nella nebbia. Avevo 8 anni. Ma cominciai molto prima, cantando Morandi, Fatti mandare dalla mamma, e sui dischi di Little Tony. Mi avevano pure preso per lo Zecchino d’Oro. Non andai perché uno zio si ammalò».
Gianni Togni: “Sanremo? Mai andato per un motivo”
Ha cominciato giovanissimo.
«A 16 anni, la domenica pomeriggio, cantavo al Folkstudio giovani. Dovevo portare una canzone nuova ogni settimana. Salivo sulla pedana con la chitarra e appoggiavo il testo su una botte, perché non c’era tempo di impararlo a memoria. Molti di quei brani finirono nel primo disco. Mio padre firmò la giustificazione per farmi saltare un mese di liceo e lasciarmi incidere per la It In una simile circostanza. Andò malissimo».
Non era che l’inizio.
«In quegli anni Rino Gaetano, della stessa casa discografica, era un po’ il mio supervisore. Abitavamo vicini, lui sulla Nomentana e io alla stazione Tiburtina. Mio fratello lo aveva fotografato per la copertina del suo primo disco. Avevo 18 anni. Quando si facevano le interviste o c’erano delle feste alle quali non potevo mancare, Rino mi passava a prendere, mi suggeriva con chi parlare, mi offriva una Coca Cola».
[…] Mai avuto imprevisti?
«Sì tanti, ma quello che ricordo ancora oggi, ridendo, è quando intrapresi un lungo tour di interviste nelle radio libere. Il primo della musica italiana. A volte bisognava raggiungere posti immersi nel nulla. Un giorno arrivammo con un’ora di ritardo perché la macchina rimase bloccata in mezzo a un branco di pecore».
A Sanremo non è mai andato. Perché?
«Le gare nell’arte sono ridicole, non è uno sport. Un anno la casa discografica mi costrinse a presentare una canzone. Inviai a Pippo Baudo Stanotte tienimi con te. La scartò, per fortuna. Lo bacio ancora quando lo vedo».
[…] Quando non canta?
«Leggo, ascolto la nuova musica indipendente, vado a teatro, viaggio con la mia compagna Maria Romana. Sono un collezionista di vinili, ne ho più di tremila. Il primo che ho acquistato è dei Rokes, ce l’ho ancora. Mi è costato 1.700 lire più Ige, non c’era l’Iva».
[…] La lezione più importante?
«Quella di papà: qualcuno è più bravo di te? Studialo. Non invidiarlo, metteresti in evidenza la tua mediocrità».
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