Can Yaman si racconta: “Se non fossi stato bello avrei avuto più successo. Ho scelto l’Italia per un motivo”. Can Yaman si racconta, l’attore turco, 32 anni, ripercorre le tappe più significative della sua vita che lo hanno portato verso il successo in una intervista a ‘Il Corriere della Sera’. Ve ne proponiamo alcuni passaggi.
«Sono gli altri che mi ricordano sempre che sono bello, fosse per me, me lo sarai già dimenticato. La bellezza mi aiutato nel mio lavoro? Se non fossi stato bello avrei avuto ancora più successo».
Ammetterà che è una frase a cui è complicato credere…
«Bisogna andare oltre il pregiudizio. Ci sono persone più belle di me, ma se l’aspetto non è accompagnato da altre virtù come tenacia, grinta, disciplina e determinazione, non si va lontano. La bellezza da sola non basta, così come il talento. In tanti sognano di recitare, magari anche all’estero, ma non so quanti sono poi realmente disponibili a lasciare tutto: casa, famiglia, affetti e ripartire da zero in un nuovo Paese, parlando una nuova lingua».
Can Yaman si racconta: “A scuola ero un secchione”
Lei di lingue ne parla cinque: è così?
«Mia madre era fissata. C’è un detto in Turchia che dice che se parli una lingua sei una persona, se ne parli due sei due persone… è un arricchimento legato alla capacità di comprendere gli altri. Per questo ho fatto il liceo scientifico in Italia, una scelta elitaria ma doverosa per i miei».
A scuola come andava?
«Ero secchione proprio. Il lavoro di mio papà (avvocato, la madre è professoressa, ndr.) andava sempre peggio. Mi sentivo così incastrato da cercare una via di scampo e l’educazione era questo. Migliorarmi era l’unica via di fuga. I miei mi dicevano che avrebbero potuto spostarmi in un’altra scuola per via dei costi e questo mi ha incentivato: ho concluso il percorso primeggiando, ero il migliore della scuola. La mia media, 92,57 su cento, resta il record. Non mi hanno mai superato».
[…] Come mai aveva scelto proprio il liceo italiano?
«A Istanbul vivono tantissime minoranze, per cui esistono tanti licei stranieri. Tutti sceglievano quello francese o tedesco. Ma io volevo fare una cosa rara. La cultura italiana mi è sempre stata simpatica: mi piaceva tutto, dall’architettura alla cucina fino alle macchine. Poi il poi destino, ironico, mi ha portato qui. E conoscere la lingua si è rivelato determinante».
[…] come ha scoperto di voler fare l’attore?
«La prima serie che ho girato in Turchia è arrivata un po’ per caso e lì ho capito che era il lavoro che volevo fare. Non ragiono sul lungo periodo, faccio una cosa alla volta, perché anche i sogni quando diventano seri si fanno pesanti e a me non piace stressarmi. Ora spero che Viola come il mare spacchi lo schermo, dopodiché giro una nuova serie in inglese, a Budapest. Per il futuro, lascio che il tempo riempia i dettagli».
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