Kim Rossi Stuart si racconta: “Da piccolo non avevamo da mangiare. A 14 anni sono andato via di casa”. Kim Rossi Stuart si racconta, l’attore romano, 52 anni, ripercorre le tappe più significative (e difficili) della sua vita privata e professionale in una intervista a “77” de ‘Il Corriere della Sera’. Ve ne proponiamo alcuni passaggi.
[…] Kim era un ragazzino che fa amicizia con un anziano monaco buddista tibetano ed è pronto a seguirlo nel suo cammino spirituale. Suo padre forse aveva colto qualcosa di lei dandole quel nome appena nato…
«Proprio non me lo ricordavo».
Eppure dopo che qualche giorno fa è stato fotografato in preghiera a Medjugorje difficile non pensare alle potenzialità spirituali di chiamarsi Kim. Come mai questo pellegrinaggio?
«Arriva dopo che ho scritto un racconto ambientato a Medjugorje nel mio primo libro uscito tre anni fa con la nave di Teseo, Le guarigioni. E anche in Brado c’è una battuta su Medjugorje».
Dunque possiamo dire che sta cominciando un percorso spirituale?
«Sono nato in un contesto davvero agli antipodi del cristianesimo. Fino all’eccesso. Un contesto ostile e critico verso la Chiesa, ai limiti dell’anticlericalismo».
E poi? Che è successo?
«È successo che ho incontrato delle persone, anche interne al mondo cattolico, che mi hanno davvero sorpreso e mi hanno fatto molto riflettere sui miei pregiudizi nei confronti di quell’universo».
Kim Rossi Stuart si racconta: “Al Cinema sono interessato fin da quando ero ragazzino”
Pentito. Ma anche convertito?
«Sto studiando, approfondendo, cercando di comprendere il cristianesimo e i suoi temi. Credo che al di là del grado di fede che uno può avere sulle questioni più trascendentali, più misteriose, nel cristianesimo ci sono le istruzioni per l’uomo più sagge in cui mi sia mai imbattuto. Istruzioni per vivere, per stare in questo mondo».
[…] Prima c’è Brado, il film che vedremo nella sale dal 20 ottobre. Possiamo definirlo un western?
«Eh sì, l’idea era un po’ quella, cioè di giocare un po’ con il western, stando in un un genere che non è il western in realtà. Di quello abbiamo delle suggestioni ma il film è del genere impresa sportiva. Se dovessi definirlo in due parole direi che è un film di genere dove un padre e un figlio devono ritrovarsi per compiere una impresa sportiva. Poi spero, almeno così come era nelle nostre intenzioni, che si intrecci ad altre tematiche più o meno profonde».
[…] Il suo cinema vuole esplorare e riaggiornare il cinema di genere?
«Ho iniziato a fare l’attore e quindi a interessarmi di cinema praticamente da bambino, in età puberale e adolescenziale. Una delle cose che più mi avevano affascinato fu leggere che Stanley Kubrick aveva toccato tutti i generi. Non so quanto in preda a un delirio di onnipotenza, di megalomania o…, lascio agli altri la definizione, però questa cosa mi affascina, in qualche misura mi ha influenzato. E quindi sia nel libro che ho scritto, composto da 5 racconti tutti di genere completamente diversi, sia in questo percorso di regia voglio agire alla Kubrick. Il primo film, Anche libero va bene, era un racconto di formazione, sull’adolescenza; il secondo era un film sulla mente, decisamente psicologico, anzi psicanalitico; quest’ultimo, come dicevamo prima, è un film tra il western e l’impresa sportiva».
Kim Rossi Stuart si racconta: “Da piccolo non avevamo da mangiare”
Come nel suo primo film anche qui ha scovato un attor giovane davvero convincente, Saul Nanni. Le piace il ruolo di talent scout?
«In effetti in questi primi miei tre film c’è sempre una scoperta, un attore bambino nel primo, un attore giovane qui e anche in Tommaso la ragazza fu frutto di una ricerca particolare. Sì, forse ho lo spirito del talent scout».
Sicuramente nel suo spirito si agitano tante angosce vissute nell’adolescenza e nella giovinezza nel rapporto con i suoi genitori: sono tutti film di rapporto tra genitori e figli, padre soprattutto. Con una madre straniera e spesso assente. Come la sua? Com’era il rapporto con i suoi genitori?
«Le confesso che ho qualche resistenza a parlare delle mie cose più intime. In parte però riconosco che è vero: i miei film da regista sono intimisti e personali, non posso negarlo. Però a torto o a ragione, penso sinceramente che siano film con una componente simbolica molto più forte di quella che appare. Mi piacque molto quando Gianni Amelio mi disse una volta a proposito del mio secondo film: siamo abbastanza amici, e mi fece – e qui ne imita il vocione – “Guarda caro Kim, questo è un film che non ha capito nemmeno chi lo ha molto apprezzato”».
Divertente. EBrado? Direi che si capisce proprio alla luce del probabile rapporto difficile con i suoi genitori
«Vabbene, dopo la lunga premessa ora le rispondo: c’è molto del mio rapporto con mio padre così come si trova molto di una ambientazione che ho vissuto in prima persona, quella tra i cavalli, nei maneggi. Ai miei 10 anni mio padre si trasferì in un maneggio e ha vissuto di quello per molto tempo».
Kim Rossi Stuart si racconta: “A 14 anni sono andato via di casa”
Poi a 14 lei se ne andò di casa
«Per andare a Roma a studiare teatro. Eravamo senza una lira. Aprivo il frigo ed era vuoto, qualcosa mi dovevo inventare. Ho cominciato a lavorare subito. Prima sono stato un po’ ospite su qualche divano di amico e poi ho cominciato ad affittare un appartamento, avevo 16 anni. Al Pigneto, quando il Pigneto era più vicino a Pasolini che non a un posto di moda come oggi».
Si può dire che il 1993 è stato l’anno della svolta nella sua vita personale e artistica? Suo padre è mancato e ha girato Senza pelle che l’ha lanciata con un personaggio problematico nel grande cinema italiano.
«La perdita di un padre è chiaro che è un passaggio abbastanza forte da vivere. Avevo 23 anni. Ma diciamo che infanzia e adolescenza per me sono state un periodo incredibilmente faticoso. Fino ai 27 anni è stato come avere un blocco dentro. Di angoscia».
Avrebbe mai detto allora che oggi sarebbe stato felicemente sposato di una collega (l’attrice Ilaria Spada, ndr) e padre di tre figli?
«Mai. Ancora sono stupefatto: tre figli! Sia io sia mia moglie eravamo convinti prima di conoscerci che non avremmo mai avuto figli. Poi il primo e poi ‘sta doppietta recente… sì, sorprende anche noi. E quando banalmente chi non ha figli si sente dire che sono veramente il turning point, la meta che dà tutta un’altra prospettiva alla vita, beh sì insomma, adesso lo penso pienamente anche io e capisco ora chi me lo diceva allora: riposiziona proprio tutto essere genitori, è una cosa bellissima. Dopo il primo ci siamo detti “perfetto, assetto a tre perfetto”. Poi a 4 abbiamo detto “però a 4 la cosa è più… stabile ancora”, adesso a 5, con la femmina dopo i due maschi… vabbè l’abbondanza».
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