Penélope Cruz: “Successo? Devo tutto a un momento storico. Ricordo con precisione la prima volta che mi hanno cercata”. Penélope Cruz sul successo e non solo, l’iconica attrice spagnola, 58 anni, si racconta in una intervista a ‘Io Donna’. Ve ne proponiamo alcuni passaggi
Penélope, L’immensità, ha dichiarato Emanuele Crialese, è il suo film più desiderato e più personale, «il film che inseguo da sempre: è sempre stato “il mio prossimo film”, ma ogni volta lasciava il posto a un’altra storia, come se non mi sentissi mai abbastanza pronto, maturo, sicuro». Come si entra nell’universo intimo di un autore?
“Io ed Emanuele ci siamo incontrati a Londra la prima volta ed è scattata subito una grande intesa, è stato come trovarsi di fronte a un vecchio amico. 40 minuti sono subito diventati 3 ore. In un attimo ho sentito che mi potevo fidare. Ho capito quanto questo film fosse importante per lui, ma era importante anche per me diventare parte di questo team”.
Negli anni ’70, periodo in cui è ambientato il film, lei era bambina. Sono stati anni di trasformazione, di speranza e di illusioni perdute. Che ricordi ha?
“Sono nata nel 1974 e ricordo che, soprattutto alla fine del decennio, quando avevo più consapevolezza, quelli sono stati per me anni di sogno. Ero una grande sognatrice, pianificavo tutta la mia vita futura. In casa c’era musica e si guardavano un sacco di film, mio padre registrava tutto in super8, faceva foto e video. Nessuno di noi bambini pensava allora di diventare artista (Cruz ha una sorella Mónica, attrice e ballerina e un fratello, Eduardo, musicista, ndr), ma io già a 4 anni ho cominciato a frequentare classi di danza classica, ed ero una grande fan dell’opera lirica, mentre mio padre era pazzo del cinema. Quegli anni hanno coinciso con la presa di coscienza: volevo a tutti i costi rappresentare qualcosa dentro quel mondo. Se poi ci sono riuscita devo tutto alla mia famiglia e a quel momento storico”.
Penélope Cruz: “Successo? Devo tutto a un momento storico”
[…] Oggi sta parlando in inglese, ma ricordo come in Non ti muovere parlasse bene la nostra lingua. È possibile che l’accento spagnolo che conserva quando parla in inglese rappresenti una presa di distanza dall’universo hollywoodiano di cui fa parte a pieno titolo, ma con lo statuto dell’attrice europea?
“Avere un accento quando lavoro e lavorare sull’accento per trasformarlo in qualcosa di diverso è una delle cose che preferisco del mio lavoro. Per esempio ora nel film di Michael Mann recito in inglese con un accento italiano, ma ho anche affinato lo spagnolo con accento cubano, colombiano… Ho fatto film in 4 lingue nella mia vita, e in ognuna di queste lingue ho dovuto lavorare ad accenti diversi.
La lingua di un personaggio è una delle caratteristiche più delicate di cui un attore deve prendersi cura, richiede mesi di preparazione e concentrazione, quando ho girato Non ti muovere di Sergio Castellitto, ho dovuto lavorarci per mesi, e per molte ore al giorno: interpretavo una donna italiana con un accento albanese, dovevo completamente annullare l’accento spagnolo. In tanti hanno provato a scoraggiarmi. Mi dicevano: «Non ce la puoi fare», ma sono stata felice che invece tutto quel lavoro sia stato ben speso. In L’immensità sono una donna spagnola che ha vissuto in Italia per lungo tempo, quindi il mio accento spagnolo per una volta non lo devo nascondere”.
Penélope Cruz: “Icona? Non me lo chiedo”
Ha mai sentito che lo statuto di icona, così raro, riservato a poche e pochi tanto in Europa come in America, la riguardasse? E che intimidisse chi lavora con lei?
“Icona… Non so, non me lo chiedo mai quando preparo un personaggio. Ogni volta parto da zero, mi dico: «Creiamo questo nuovo essere umano che nasce dalla pagina scritta, soprattutto se è scritta bene, partiamo dal vuoto», e questo comprende tutto, anche il modo in cui appare fisicamente, non ci possono essere capricci, il personaggio ha bisogno di tutto quel che serve per muoversi nel mondo, camminare, parlare, vestirsi. Ogni dettaglio è un pezzo del puzzle, uno strato, una risposta alle domande che ci poniamo, non può essere: «Come apparirò?». Deve essere: «Come posso darle più verità?».
Perciò anche una decisione su quali scarpe scegliere diventa importantissima, perché influenzerà il modo di camminare, muoversi e quindi di essere. Se sono le scarpe sbagliate, la pagherà il personaggio e la pagherò io. La questione non è mai “mi staranno bene o male?”, è sempre “saranno le scarpe che lei avrebbe scelto?”. Quindi penso che sarebbe pericoloso sentirmi un’icona. Mi sento grata e fortunata a poter essere quello che ho sempre voluto essere: sono un’attrice, ho opportunità di lavoro interessanti, mi sento ancora una studentessa, imparo ogni giorno. Eppure quando sognavo questa vita da ragazza pensavo fosse un sogno impossibile”.
Penélope Cruz: “Successo? Lo sognavo da piccola”
Un documentario, Penélope Cruz, les reflets de la passion di Charles Antoine de Rouvre, e un libro, Penélope Cruz di Ann Davies, hanno provato ad esplorare il suo percorso. Come si sente al pensiero di essere diventata materia di studio? Essere stata una presenza importante e nuova nel momento in cui il cinema spagnolo cambiava, con Bigas Luna e Almodóvar, è stato cruciale nella sua storia. Che ricordi ha?
“Non ho visto il documentario e non ho letto il libro. Sono convinta che gli autori avessero le migliori intenzioni quando li hanno realizzati, io non ho niente a che vedere con quei progetti. Ma riguardo la mia presenza nel cinema spagnolo degli anni ’90 è bellissimo aver fatto parte del mondo di quegli autori. Bigas è morto troppo giovane, ma ho fatto due film con lui e siamo stati molti vicini. Con Pedro siamo a 7 film insieme, e spero che ne faremo molti altri, è una persona importantissima nella mia vita, lo adoro, è parte della mia famiglia.
Quando ero bambina sognavo che sarebbe successo, ma è difficile si avverino sogni così specifici. Invece è successo. Ricordo con precisione la prima volta che mi hanno cercata. Dopo il provino mi hanno rispedita a casa dicendomi: «Sei troppo giovane, ma ti richiameremo». Lì per lì mi sono detta che forse era una scusa, che quelle sono le cose che si dicono. Invece non dicevano bugie, mi hanno richiamata entrambi, anni dopo, per chiedermi di fare un film con loro. È cominciato tutto così”.
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