Luca Barbarossa: “Sanremo? Ho vinto grazie a una dritta di Dalla e Morandi. Crisi? Sono stati anni difficili”. Luca Barbarossa su Sanremo del 92 e non solo, il cantautore romano, 61 anni, si racconta rivelando alcuni retroscena sulla sua vita privata e professionale in una intervista a ‘Il Corriere della Sera’. Ve ne proponiamo alcuni passaggi.
Da ragazzo quali erano le sue armi di seduzione? La chitarra?
«Ovvio. Vedi uno che canta e suona, gli vanno dietro le ragazze e dici: io nella vita voglio fare quello. Con il mio amico Mario ci esibivamo a piazza Navona o anche a Barcellona quando abbiamo fatto il giro d’Europa: eravamo giovani, carini, simpatici. Non stavamo per strada perché ce la passavamo male o eravamo disperati. Per noi era una lunga vacanza e con quel mestiere ci campavamo, facevamo soldi per proseguire il viaggio. Ma non sono mai stato un latin lover, gli anni Settanta erano così: ci si incontrava, ci si annusava e se ci si piaceva si faceva un tratto di strada insieme».
Ha imparato a suonare per rimorchiare?
«No, la musica mi piace punto e basta. Ne ascoltavo tanta, soprattutto americana. E volevo imparare a suonare le canzoni. Prima scherzavo. Per favore, lo dica: Barbarossa scherza spesso. Quando le persone leggono non sentono l’intonazione della voce, non ti vedono ridere. Come distinguono le battute? Me lo sono chiesto mentre scrivevo il mio libro. E ho capito l’importanza delle emoticon». Luca Barbarossa, cantautore e conduttore radiofonico, ha intitolato il suo esordio letterario Non perderti niente e lo ha pubblicato nel 2021, per i sessant’anni. Ora lo porta in tour, mischiando ricordi e canzoni. «Non è un’autobiografia perché non sono né Napoleone né Frank Sinatra. È concentrato sulla mia adolescenza, tipo romanzo di formazione».
Luca Barbarossa: “Sanremo? Ho vinto grazie a una dritta di Dalla e Morandi”
[…] Ha tre figli. Che padre è?
«Avere un papà che sta in radio o in tv per i miei ragazzi deve essere una bella rottura… È un mio cruccio. A casa cerco di non parlare di me e di dare più importanza a loro. Assecondo le passioni ma senza viziarli. Valerio, il maggiore, ama il surf, così invece di frequentare l’università a Roma l’ha fatta in Portogallo, davanti all’oceano. A Flavio piace suonare, è bravissimo. Studia musica, non è come me che sono autodidatta. Margot ha 12 anni e tanti interessi. Sono bravi, seri, hanno voglia di fare e non appartengono alla generazione degli Sdraiati di Michele Serra».
[…] Che adolescente era?
«Difficilotto. Un ribelle che scappava da casa e non tornava per settimane, mesi. Sparivo, me ne andavo in Inghilterra, in America».
[…] Il Festival lo ha vinto nel ’92 con «Portami a ballare».
«Ma io volevo cantare Cuore d’acciaio, più impegnato. Furono Morandi e Dalla a dirmi: “Devi toglierti la puzza sotto al naso”».
La sua prima volta nell’81 con «Roma spogliata». Gliel’ha mai detto a Venditti che era l’anti «Roma capoccia»?
«No. Ho vissuto gli anni di piombo, ho visto persone morire durante le manifestazioni, lacrimogeni sparati ad altezza d’uomo, sulla schiena dei miei amici. Io li ho schivati per un pelo. La città era fuoco e fiamme. Antonello, invece, parlava di Roma come in un sonetto dell’800: il cupolone, la santità, la maestà, la carrozzella. Ho capito dopo che quella canzone andava oltre la Storia, era una dichiarazione d’amore. Pensavo che Venditti, ascoltando Roma spogliata, avrebbe stanato la mia rabbia. Invece è entrato in studio mentre la incidevo. Ha detto: “Bella, posso suonare il pianoforte?”. Io, un verme, in un attimo ero diventato un suo grande fan».
Luca Barbarossa: “Crisi? Sono stati anni difficili”
Dopo quel successo la crisi. Perché?
«Per azzeccare una seconda canzone, Via Margutta, passarono 5 anni. Nel frattempo, con la mia chitarra e un sacco a pelo, ero entrato in questa casa e dovevo pagare l’affitto: 365 mila lire al mese. All’inizio tutto ok. Poi ho cominciato ad avere problemi con la mia casa discografica, la Fonit Cetra, il mio primo album non era andato bene, non avevo continuità…».
Come viveva?
«Sono stati anni difficili, mi sono rimesso a suonare nei locali, avevo quel briciolo di nome che mi permetteva di non fare piano bar. Non arrivavo a fine mese. Per farmi abbassare l’affitto ho ridato indietro una stanza alla proprietaria dell’appartamento».
Come si è ripreso?
«L’angoscia di rimanere senza soldi l’ho sempre avuta, forse come tutti quelli che sono andati presto via di casa. Quest’ansia mi ha spinto a cercare una strada per venirne fuori. La svolta arrivò con L’amore rubato».
Nell’88, di nuovo a Sanremo. Raccontava di una violenza sessuale. Scatenò l’ira delle femministe e non solo.
«Mi accusarono di sfruttare un dramma delle donne per soldi. Ero schiacciato dalle polemiche. Per fortuna non tutti la pensavano così. Conservo il telegramma che mi inviarono Dario Fo e Franca Rame nella serata finale. Dicevano che attraverso la denuncia di un uomo passa la questione femminile. Mi diedero forza».
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