Riccardo Cocciante: “Canzoni politiche? Mai scritte per due ragioni. Sanremo? Molti l’hanno presa male”. Riccardo Cocciante sulle canzoni politiche e non solo, il cantautore italo francese, 77 anni, rivela alcuni retroscena sulla sua carriera in una intervista a ‘Il Corriere della Sera’. Ve ne proponiamo alcuni passaggi.
Il brano su cui non avrebbe scommesso?
«Margherita. Perché è arrivata nel momento in cui la canzone politica era preponderante, il contrasto con la moda corrente era totale e io mi sentivo disarmato. All’epoca partecipavano tutti ai Festival dell’Unità, dove io non andavo; il discorso politico era potente, invadeva l’Italia. Io stesso ero perplesso sull’uscita di Margherita, ma poi si è inserita violentemente in uno spazio che evidentemente c’era».
Era l’epoca dei fascisti di qua e i comunisti di là, la canzone d’impegno non faceva per lei?
«Non ho mai voluto scrivere di politica per due ragioni. Primo perché la reputo passeggera, nei tempi e nei modi; dopo quattro anni tutto invecchia, la si pensa diversamente. E poi perché credo che la politica per noi artisti debba rimanere qualcosa che osserviamo, ma non diventare la bandiera di un’idea, di un partito, anche se tu le tue opinioni le hai. Ho sempre cercato di non essere dentro mode e pensieri, mi piace stare da parte, marginale o fuori, mai in una moda. Piuttosto cerco io diventare io la mia moda, il mio pianeta».
[…] Padre italiano, madre francese, lei è cresciuto in Vietnam fino a 11 anni.
«Quando sono arrivato a Roma ero spaesato, non conoscevo la lingua e il clima era diverso da Saigon: i tropici sono un’esplosione di odori, di colori e Roma mi sembrava una città grigia. Volevo conoscere la cultura musicale italiana e la tv mi ha aiutato molto: guardavo tutte le trasmissioni musicali, anche le più periferiche; così ho imparato che all’epoca l’italiano era più melodico mentre il francese più letterario. Io sono sempre in bilico tra queste due culture: sono il più francese degli italiani e il più italiano dei francesi. Il mio modo di cantare è impressionista; l’estetica serve ma non è prioritaria».
Riccardo Cocciante: “Canzoni politiche? Mai scritte per due ragioni”
Una sola presenza a Sanremo nel 1991, la vittoria con «Se stiamo insieme». E poi?
«Non amo ripetere due volte la stessa esperienza. Molti l’hanno presa male, ma non era una scelta “contro” Sanremo. Anche il giudice di The Voice l’ho fatto una sola volta. Perché per il nostro mestiere entrare in un ingranaggio rappresenta la morte della creatività. Diventi parte di un meccanismo dove vuoi piacere più agli altri che a te, invece penso che la composizione sia un fatto di egoismo: prima di tutto devi tu stesso provare amore per quello che fai».
La musica oggi in che direzione va?
«C’è troppo calcolo, per molti è qualcosa di meccanico e robottistico. Io invece ho voglia di genuinità. Il problema è che oggi si arriva troppo presto al successo, la gavetta è importantissima, perché stai male, soffri, ma ti arricchisce e non ti senti dio se diventi popolare. I successi più belli sono sempre quelli improbabili, quelli non calcolati. Nella mia carriera ne ho avuto diverse prove, non solo con Margherita. Bella senz’anima all’inizio ha stentato, poi il pubblico ha deciso che poteva essere un successo. Il tempo è un giudice pazzesco, cancella le cose opportunistiche e fa rimanere quelle vere, autentiche».
Con Mogol avete collaborato per tanti anni…
«In generale io cerco sempre di trovare me stesso nell’autore che mi sta vicino. Per scrivere in due bisogna trovare una comunione speciale, si creano momenti intensi, fortissimi. Mogol mi è profondamente caro, ma non è l’immagine dei suoi testi: ha un aspetto ruvido, del resto tutti gli artisti hanno le loro asperità. L’importante è quello che dice e quello che dice è bellissimo».
Con Mina vi siete incrociati due volte, per «Questione di feeling» e «Amore».
«Ci sentiamo ancora ogni tanto, mi dà i suoi pareri sulla cose che faccio e questo vuol dire che tra noi c’è un contatto vero, sincero».
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