Fanny Ardant: “Fidanzati giovani? Un tabù, non siamo liberi. Italia? Ho due grandi passioni”. Fanny Ardant sui fidanzati giovani con donne mature, l’attrice francese, 73 anni, parla delle libertà in amore tra le altre cose in una intervista a ‘Il Corriere della Sera’. Ve ne proponiamo alcuni passaggi.
Le costrizioni non fanno per lei.
«Ha ragione. La mia vita è stata un combattimento per rimanere fedele a me stessa. Quando arrivi a 15 anni hai le idee confuse ma sai ben a cosa non vuoi somigliare quando ne avrai 50. Le vicissitudini dell’esistenza ti portano a cambiare, la battaglia è rimanere fedeli agli ideali etici dell’adolescenza. Hai scelto il tuo campo, devi evitare di cadere nella trappola. È più facile sapere cosa non vuoi, più facile dire i no che i sì. La costruzione di sé è come una scultura, togli la pietra per far nascere la forma».
Shauna, la protagonista del film, è una settantenne che vive in libertà un amore con un uomo di 25 anni più giovane. Una conquista di libertà?
«Penso che l’amore sia sempre un pericolo. Ogni volta che non rientra nei ranghi, è un’esplosione. Lei è una donna libera, ha fatto l’architetta, ha una figlia. Si concede le stesse fragilità che avrebbe avuto da adolescente. Mostrarsi senza corazza non è in conflitto la sua indipendenza. Non è una wonder woman, ama la vita e ne vuole godere. Come è possibile che ci si stupisca che nel 2022 una donna più anziana abbia un amante più giovane?».
Che risposta si dà?
«Diciamo tanto di essere liberi, ma la nostra epoca borghese è molto giudicante. Si porta dietro l’ossessione dell’età. È un tabù, ma se pensiamo alla letteratura dell’Ottocento, Balzac, Tolstoj, c’erano diverse donne con amanti più giovani. Oggi devi avere un’etichetta, se ne stai fuori dai confini e ti muovi come un drone libero, sei giudicato».
Fanny Ardant: “Fidanzati giovani? Un tabù, non siamo liberi”
Suo padre era un ufficiale della cavalleria di Palazzo Grimaldi, lei ha vissuto alla corte di Ranieri di Monaco. Ne ha sentito la pressione?
«Mio padre è stato un grande esempio per me. Indipendente di spirito, grande umanità e grande dolcezza. E niente giudizio. Mi ha insegnato che ogni tipo di autorità può essere messa in discussione».
È stato facile far accettare in famiglia che avrebbe fatto il suo mestiere?
«Quando l’ho detto ai miei genitori, loro anche se mi amavano tanto, avevano paura. Fai l’università, mi hanno detto, poi forse cambierai idea. Ho scelto il corso più veloce, Scienze politiche che in Francia dura tre anni. Non ho cambiato idea. Però non mi pento di averla fatta, quello degli studi è stato il tempo che ha affinato l’amore per la dialettica, le opinioni politiche. Amo discutere».
La sua carriera al cinema è costellata di incontri fortunati.
«Un grande regista è qualcuno che fa uscire da te quello che lui con il suo genio ha intuito che possiedi. È come se li avessi già conosciuti da sempre i grandi, come incontrare un amico di infanzia, viene tutto facile. Per esempio, fin dal primo incontro con Ettore Scola, un grande umanista, ho pensato: con lui posso andare da qualunque parte. Al di là dei caratteri diversi, tutti hanno un punto in comune: la passione per il lavoro. Con Truffaut lo capivi all’istante».
Il padre di sua figlia. Un grande amore e due capolavori, «La signora della porta accanto» e «Finalmente domenica!». Le piace rivederli?
«No, non li rivedo mai. Li conservo come una foresta incantata».
[…] In Italia si sente a casa. Ci sono registi con cui vorrebbe lavorare?
«Certo. Ma non dico i nomi. È come nelle storie d’amore: se chiedi non vale. Dico solo che ho due grandi passioni: Roma e Napoli».
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