Pietro Castellitto: “Totti? Coi soldi della serie mi sono fatto un regalo. Ho fumato canne. E su chi guarda il cognome…”. Pietro Castellitto su Totti e non solo, l’attore romano figlio d’arte, 30 anni, ripercorre le tappe più significative della sua carriera in una intervista a ‘Il Corriere della Sera’. Ve ne proponiamo alcuni passaggi.
Lei però ha cominciato a recitare a tredici anni. Il film era «Non ti muovere», regia di Sergio Castellitto, suo padre, da un romanzo di Margaret Mazzantini, sua madre.
«E tutti allora giù pesanti con i vari “è figlio di”. Qualunque cosa facessi, tutti a ricordarmi da dove venivo. Così per anni e anni ho scritto. Ho scritto tantissimo, cose mai pubblicate e nemmeno trasformate in un film. Cose mie, ricerche personali. Volevo fare qualcosa di artistico, ma facevo fatica a trovare un punto fermo».
Che cosa ha innescato poi la svolta?
«Tante persone che mi hanno guardato limpidamente, che hanno cercato in me il talento oltre il cognome. Mario Gianani, per esempio».
Il produttore di «Speravo de morì prima», la serie tv in cui lei fa Francesco Totti».
«Io ho le idee chiare, ho anche delle ambizioni. Ma, giuro, fare Totti per me è stato un onore. Totti per noi non è un essere umano, Francesco è un’icona. Lo vedi così tante volte che quando te lo trovi davanti e scopri che parla, che sorride, che si tocca i capelli, non ti pare vero».
I dettagli del primo incontro.
«A pranzo vicino a Piramide (zona del quartiere Ostiense di Roma, ndr). Io che manco spiaccico parola, lui che mi guarda e poi fa: “Ahò, se devi fa’ Totti ar cinema mo’ devi magna’”. E comincia a passarmi pasta, pane, carne. “Magna”, mi ripete. Io sto lì con la pancia piena, non mi va più niente, ma gli faccio: “France’, se me lo passi tu me magno pure er legno”».
[…] Ragazzo irrequieto?
«Per usare un eufemismo. Mio padre ogni tanto si incavolava e girava per la casa dicendo “Ma dove ho sbagliato?”»
Sergio Castellitto in una delle sue migliori interpretazioni, insomma.
«Siamo quattro figli, due maschi e due femmine. Però mamma e papà ci sono stati sempre per noi. Famiglia molto unita. Litigi e discussioni, certo, ma loro due sono stati genitori perfetti. Tanto è vero che oggi quando penso a un figlio mi dico che non potrei farlo, perché penserei troppo a me stesso, non potrei mai essere come loro. Un modello autentico, fin troppo».
Mai fumato una canna?
«Be’, sì».
Ma Pietro, lei nemmeno fuma le sigarette.
«Certo, e allora? Mai fatta una canna da solo, sempre con gli amici e comunque molto di rado. Non fumo, faccio judo, con i soldi della serie su Totti mi sono comprato una piccola barca che però adesso voglio vendere».
Perché?
«Perché la uso poco, devo lavorare. Non penso tanto ai soldi, se vivessi in America adesso sarei più ricco, ma non mi importa».
Pietro Castellitto: “Totti? Coi soldi della serie mi sono fatto un regalo…”
Come spende i soldi?
«Cerco un po’ di sicurezza. Poter fare un viaggio o permettermi un ristorante senza ansie. Tutto qui. Ma in questo sono stato bene educato dai miei. Ha presente Massimo Ferrero?»
Ma chi, Er Viperetta?
«Proprio lui, il produttore. Quando ero piccolo una volta venne a casa nostra. Gli dissi che raccoglievo le figurine e lui mi diede cinquantamila lire. Mai visti prima tanti soldi. Mi disse: “To’, vatte a comprà er pacco intero”. Intervenne papà che prese i soldi e glieli ridiede. Non avrebbe mai permesso a un bambino di spendere così tanto tutto insieme. Ma soprattutto papà voleva che io le figurine le raccogliessi poco per volta».
[…] Sì, perché lei è anche scrittore. Il suo romanzo d’esordio, «Gli iperborei», ha appena vinto il premio Opera prima al Viareggio-Rèpaci. La storia di un gruppo di ventinovenni della Roma ricca, persi in troppi soldi, troppa solitudine, troppi adulti.
«E soprattutto troppe pressioni. Prima, quando dicevo che a trent’anni arriva il disincanto, volevo dire che per la mia generazione tutto è parecchio complicato. Avvertiamo un senso di oppressione in ogni progetto. Una burocrazia che ostacola i sogni».
[…] Eppure sembra che a lei tutto riesca bene. Regista con «I Predatori», attore, scrittore.
«Sì ma è stato il frutto di un lavoro su me stesso. Io a 21 anni ho conosciuto il fallimento».
E cioè?
«Profonda crisi. Ho cominciato a recitare da bambino, tutto mi sembrava facile. Ma non lo è. Allora a ventuno anni smisi. Mi misi a fare altro, a studiare filosofia. Pensi che a un certo punto della mia vita ho detto di voler fare il professore. Cominciai a scrivere, I Predatori l’ho girato a ventisette anni ma l’ho scritto a ventitré. La scrittura chiarisce tante cose. E sono un lettore vorace: Nietzsche, Foster Wallace, Hemingway, Fante. Solo letteratura internazionale».
La cosa migliore fatta finora?
«Il romanzo, senza dubbio».
È difficile parlare di questa generazione?
«Lo fanno i grandi, spesso usando modelli sbagliati. O ci dipingono come barboncini ammaestrati o come depravati. Io di una cosa sono certo: quando avrò cinquant’anni non mi metterò mica a scrivere di ventenni o trentenni».
Che sentimenti nutrite verso i quaranta-cinquantenni?
«Non vi guardiamo proprio».
[…] Come vive l’amore Pietro Castellitto?
«Mi ricordo la prima volta che mi sono innamorato, alle elementari. Non le ho mai detto nulla, perché lo vivevo con un fortissimo senso di impotenza. Era doloroso. Oggi è diverso, ma, vede, io ho sempre fatto sogni di un vecchio. Anche da bambino, mica sognavo di baciarla: sognavo di portarla su un’isola deserta, di andare a cena con lei».
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