Bérénice Bejo: “Social e talent illudono che tutto sia accessibile. Ombra sulla verità? Non ho accettato per sfida”. Bérénice Bejo sui social e i talent e non solo, l’attrice francese di origine argentine, moglie del regista Michel Hazanavicius, si racconta in una intervista a ‘Io Donna’. Ve ne proponiamo alcuni passaggi.
L’happy end non è mai scontato.
«“Nel film (‘Final Cut ‘ndr) non c’è una parte giusta per te” insisteva mio marito. Poi, però, mi ha chiesto di dargli un parere sull’adattamento: l’ho trovato ottimo, ho riso fino alle lacrime (mia figlia era stupita: “Mamma, cosa stai leggendo?!?”) e… sono tornata alla carica! “Okay okay, se pensi che il ruolo della truccatrice ti si addica, è tuo!” ha ceduto. Se non fosse finita così, credo che oggi brontolerei assai»
Con Un’ombra sulla verità cosa ha esplorato di sé?
”In realtà non ho accettato perché il ruolo costituiva una sfida, ma per il soggetto. Che, purtroppo, è d’attualità. La storia? Una coppia (con Bejo, Jérémie Renier, ndr) vende la cantina a un signore dall’apparenza rispettabile (François Cluzet), che si trasferisce illegalmente a vivere lì e che, soprattutto, dietro l’aria rispettabile si rivela un antisemita negazionista. Un uomo pericoloso che infiamma il web con le sue teorie complottiste e ha una certa presa sulla figlia sedicenne dei due. Il marito è un ebreo disinteressato alle sue radici, è la moglie a sentirsi ferita più di lui: deve svegliarlo! Tanta gente è così terrorizzata dalla verità che preferisce negarla. Bisogna insegnare ai nostri figli a essere più coraggiosi”.
Che dire ai bambini? Parlate di questi temi a casa?
“Sì, parecchio, anche con i bambini (Lucien, 13 anni, e Gloria, 10, ndr). Michel è ebreo, la sua famiglia è arrivata in Francia dalla Lituania durante la Seconda Guerra Mondiale, e proprio adesso sta lavorando a un film d’animazione dal romanzo-favola sull’Olocausto di Jean-Claude Grumberg, Una merce molto pregiata (mostra sulla scrivania i fogli dello storyboard disegnato dal marito, ndr). Come può vedere, ci sono libri sulla Shoah dappertutto in questa stanza. Un paio d’anni fa siamo stati ad Auschwitz per la documentazione”.
Bérénice Bejo: “Social e talent illudono che tutto sia accessibile”
[…] In Europa si segnalano tuttora episodi di antisemitismo.
“La prima volta che Michel è stato in Israele (mi aveva raggiunto, stavo girando a Tel Aviv), mi ha confessato una sensazione strana: “In Francia devo sempre tenere le antenne alzate, a Gerusalemme sento di non averne bisogno, di poter essere totalmente me stesso, per quanto non pensi al mio essere ebreo nella quotidianità””.
Dicono che, se dimentichi di essere ebreo, qualcuno te lo ricorderà…
“Esatto. Un giorno mio figlio è tornato a casa parlando di football e proclamando: “Sono argentino, sono argentino!”. Gli ho detto: sì, sei argentino come me ed ebreo come tuo padre. “No, no no, non sono ebreo!”. Chissà, magari era successo qualcosa a scuola. Alla sera l’ho raccontato a Michel che, contrariamente a me, non si è preoccupato. Con calma, dopo un po’ di settimane, ha iniziato a raccontargli della sua famiglia, dei genitori, della guerra, gli ha mostrato foto… Alla fine della conversazione, Lucien ha concluso: “Ok, voglio essere ebreo”! E ha iniziato a leggere i libri di Isaac Bashevis Singer, il premio Nobel, e li ama! Sta imparando qualche termine in ebraico”.
Avete entrambi pagato un prezzo alla Storia: lei è dovuta fuggire dall’Argentina con i suoi genitori durante la dittatura militare. Cosa ricorda?
“Niente, ero piccola, avevo tre anni. E i miei non ne accennavano mai: arrivati a Parigi, hanno “cancellato” tutto quel che riguardava il nostro Paese. Parlavamo in francese, non ascoltavamo tanghi bensì Georges Brassens, Jacques Brel, papà non si interessa di calcio. Ho rivisto Buenos Aires a 11 anni con mia sorella: mio padre e mia madre ci sono tornati, e su mia insistenza, solo dopo 25 anni. È difficile per un figlio non conoscere una parte fondamentale della vita dei genitori, comunque avevo introiettato la consapevolezza che non dovevo chiedere”.
Bérénice Bejo: “Io francese ma radici fondamentali”
[…] Oggi si sente più francese che argentina?
“Sì, francese, ma le radici sono fondamentali: il fatto che io parli spagnolo (l’ho insegnato ai miei figli), per esempio, mi ha procurato una linea privilegiata con altri Paesi europei. Gli italiani mi mandano le sceneggiature convinti che possa recitare in italiano perfetto, quando in realtà lo capisco bene ma metto assieme poche parole. Mi chiamano dai tempi di The Artist e, fino a quando morirò, mi vedranno come la Peppy Miller del film”.
[…] Quando ha scoperto la passione per la recitazione?
“A cinque-sei anni. Non accendevamo mai la tv, benché in Francia all’epoca ci fossero ottimi spettacoli, e adoravo che il venerdì e il sabato sera guardassimo col videoregistratore film – italiani, francesi, americani rigorosamente degli anni Sessanta – con i miei genitori: papà era stato regista, aveva dovuto lasciare per la dittatura. Già a sette anni nei temi scrivevo: “Voglio essere un’attrice”. Che, 40 anni fa, era una cosa abbastanza da pazzi: non come oggi che i social e i talent e YouTube ti illudono che tutto sia accessibile. Ero affascinata dal dono degli attori di provocare così tanta emozione. C’è pure dell’egocentrismo, credo: vedere se stessi sullo schermo è una sensazione forte”.
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