Tommaso Ragno: “Napoli è un mondo e rione Sanità come Varanasi. Altro che seconda giovinezza, è una seconda vita”. Tommaso Ragno su Napoli e non solo, l’attore foggiano di origini ma cresciuto a Piacenza, parla del film ‘Sanità, l’entrata nel labirinto’ in una intervista a ‘Io Donna’. Ve ne proponiamo alcuni passaggi.
«La mia vita d’attore è cominciata con Mario (Martone ndr), la fucina napoletana è stata la mia prima casa»
Avete girato alla Sanità.
“C’è Napoli e c’è il rione Sanità. Felice e Oreste vivono lì, sono due amici. Amici come si può essere solo in giovane età, ma la loro è un’amicizia pericolosa, il loro mondo è quello della malavita. Poi Felice se ne va, Oreste resta e diventa il “re di quella monnezza” come la definisce lui. Si rivedono dopo 40 anni, quando Felice torna a casa. Ma se già Napoli è un mondo, alla Sanità ti sembra di essere a Varanasi, in India”.
Tommaso Ragno: “Napoli è un mondo e rione Sanità come Varanasi”
Perché? Varanasi è la città che celebra la morte.
“In quella dimensione luce e ombra si mescolano. Come alto e basso. Alla Sanità ci sono le catacombe, provi una sensazione di discesa agli inferi, la dimensione mitica di Napoli la senti ovunque, a Palazzo Donn’Anna la senti fortemente. Il genius loci della Sanità ha una forza magnetica potentissima, è una città in sé. Ed è davvero come se le catacombe fossero un po’ la città dei morti: ti muovi in quegli anfratti e improvvisamente sbuchi in un giardino.
La Sanità sembra fatta apposta per sparire. Mi ha dato la sensazione di un minerale che si trova ad altra profondità, con una compressione forte, un luogo quasi radioattivo. Strade, stradine, vicoli, palazzi fatiscenti, sepolcri, altari, la povertà, la ricchezza, è tutto insieme. Ed è quel luogo che determina le scelte del protagonista, la Sanità è l’orizzonte lungo cui si muovono i personaggi, con quei codici scolpiti nella pietra, è un posto ingannevole, è l’entrata nel labirinto”.
È appena sceso dal palcoscenico che ha condiviso con Massimo Popolizio per M, il figlio del secolo, ha quattro film pronti, oltre a Nostalgia, una carriera televisiva floridissima. La sua è una seconda giovinezza?
“Non è una seconda giovinezza, è una seconda vita. Ancora di più. Anche se le sciocchezze continui a farle. Ma le fai meglio. O addirittura, le vuoi ripetere. Ma grazie a Dio i vent’anni sono passati. Non tornerei lì”.
Tommaso Ragno: “Carriera? Fortunato a uscire primavdi internet”
A vent’anni ha sentito per la prima volta che apparteneva al mondo in cui si trova adesso?
“Sono stato fortunato a cominciare quando internet non c’era. Ci dovevi mettere la faccia, non un avatar. Se c’era uno spettacolo di Peter Brook a Parigi prendevi il treno e ci andavi. Quello era il momento in cui un attore poteva fare teatro anche per 250-300 giorni all’anno. Il tuo corpo e la tua mente si abituavano a quel ritmo. Poi quello è stato anche il momento in cui ho incontrato Massimo Castri, Luca Ronconi, Toni Servillo.
Ho avuto la fortuna di crescere dentro case teatrali, esperienze che formano l’identità in maniera solida. Io sono un ragazzo di provincia, sono cresciuto a Piacenza, la mia famiglia non c’entrava niente col teatro, ho tentato il provino alla Paolo Grassi e sono entrato. Prima di M non facevo teatro da cinque anni, tornare sul palcoscenico è stato semplicemente magnifico. Anche perché l’abbiamo fatto nel periodo più complicato, 18 persone in scena, 10 tecnici, 10 contagi da covid, tra cui io”.
Come sta?
“Per fortuna l’ho preso dopo il booster e soprattutto dopo che avevo fatto un lavoro su di me, sul corpo, che mi aveva reso più forte. Mi sentivo sovrappeso, e a 50 anni ho riabituato il mio corpo a un nuovo modo. Non è tanto questione di dimagrire, ma di tornare quello che sei. Se ho potuto fare Benito Mussolini senza la pancia e il mascellone, con la mia chioma lunga, è perché quelle sono libertà che il teatro si può prendere. Sembra che tutto oggi debba assomigliare alla realtà, ma quale realtà? Durante la pandemia ci siamo ingolfati di serie tv, anche stupende, ma né le serie né gli ebook hanno ciò di cui abbiamo bisogno, la “cosalità”. Quella del teatro è un’esperienza spazio-temporale che non ha niente a che vedere con la visione televisiva priva di corpi in scena e di corpi in platea. Siamo esseri fatti per la vicinanza […]”.
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