Beatrice Venezi: “Sanremo? Contro di me tanta cattiveria e solo per in motivo. C’è una differenza tra insegnante e maestro”. Beatrice Venezi su Sanremo e non solo, la direttrice d’orchestra Toscana, 32 anni, si racconta in una intervista a ‘Il Corriere della Sera’. Ve ne proponiamo alcuni passaggi.
Beatrice Venezi, sarà anche stata bocciata, avrà pianto, avrà aspettato. Ma a 25 anni era il più giovane direttore d’orchestra d’Italia. E anche la più invidiata e mediaticamente esposta.
«L’esposizione la paghi però, soprattutto se vai a Sanremo: tanta visibilità ma anche tantissime critiche quando uscì fuori la questione che volevo farmi chiamare direttore e non direttrice, oltre alle osservazioni sessiste. Ma soprattutto per aver deciso di partecipare a un programma così tanto “pop”: ti mettono in croce a vita per aver “contaminato” la purezza della musica alta. Vedo tanta cattiveria e tanta mala fede».
Quando si è confrontata la prima volta col problema della differenza di genere?
«Studiavo con il maestro Piero Bellugi, personaggio dall’umanità incredibile. Una volta, dopo una lezione, rimanemmo da soli: non aveva mai affrontato il tema della differenza di genere. Io mi cullavo nell’idea che non ci fosse alcuna differenza, non mi ero mai posta il problema che non ci fossero donne direttrici. Mi disse che aveva parlato con uno dei suoi figli, che si occupava di arti circensi, che gli aveva chiesto se le mani femminili potessero essere più espressive di quelle maschili nella direzione. Un momento chiave di formazione della mia sicurezza».
Beatrice Venezi: “Sanremo? Ho ricevutotante critiche”
Poi ci ha sbattuto la faccia contro.
«Infatti al conservatorio Verdi a Milano non mi davano le stesse possibilità che davano ai maschi. Era un continuo di battute sessiste, anche all’Accademia Chigiana. Cose del tipo “è una donna, cosa volete che faccia?” oppure veniva rimarcato che non potessi vestirmi in abiti femminili come se dovessi per forza somigliare a un uomo. Credo sia la volontà di fare dei propri allievi delle piccole copie degli insegnanti».
Ed è un male?
«È la differenza che passa tra un insegnante e un maestro: maestro è chi ti dà la possibilità di esprimere chi sei. Ma non c’erano modelli femminili a cui rifarsi, anche solo per la postura del corpo. Perché le differenze nel corpo tra uomini e donne influiscono sulla direzione».
La sua prima volta su un podio?
«A 22 anni e con tanta emozione addosso. Anche se quella “magica tranquillità del podio” mi avvolse non appena iniziai. È qualcosa che ancora oggi non riesco a spiegare: qualsiasi inquietudine provi, rimane sempre in camerino. Mi trovavo nella mia Lucca, alla Basilica di San Giovanni, dirigevo L’Eroica. Di nome e di fatto».
All’epoca si era già manifestato il problema di essere «un direttore e una donna» che poi l’ha accompagnata fin qui in carriera?
«Credo sia stata l’unica volta in cui non ho sentito addosso quello sguardo di disapprovazione. Forse proprio perché ero circondata da conterranei».
Beatrice Venezi: “Sanremo? Contro di me tanta cattiveria e solo per in motivo”
Com’era Beatrice da piccola?
«Ballavo e canticchiavo anche in fasce. O almeno così raccontano i miei».
Era una bambina prodigio?
«Una bambina che si muoveva goffamente. Ma la musica, l’espressione del ritmo attraverso il corpo, ha fatto parte di me fin dalla tenerissima età. Prima con la danza, poi col pianoforte».
Che ricordi ha del pianoforte, agli inizi?
«Una vaga immagine delle manine sopra i tasti, come se ai miei occhi si stesse dischiudendo un segreto solo per pochi. Eppure, non era quello lo strumento dei miei desideri».
Qual era?
«Sentivo di voler iniziare con qualcosa di più ritmico e primitivo come il battito del cuore, infatti ero affascinata dalle percussioni».
Già all’epoca sfrontata, «tribale», agguerrita come la vediamo oggi a trent’anni?
«Macché: timida, introversa. Tutto il contrario di quello che può sembrare adesso. Ero affascinata da un linguaggio, la musica, non vincolato alle parole che incasellano tutto».
La comunicazione emozionale.
«Una caratteristica che mi sono portata dietro: ad Avignone il primo clarinetto venne in camerino e mi disse che aveva perso due figli ma che grazie a persone come me continuava a fare questo lavoro. E ci siamo abbracciati».
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