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Spettacolo

Speranza Scappucci si racconta: “Suono da quando ho 4 anni. Io maestro, non c’è direzione al femminile”

Speranza Scappucci si racconta: “Suono da quando ho 4 anni. Io maestro, non c’è direzione al femminile”. Speranza Scappucci si racconta, la prima donna italiana a dirigere un’opera al Teatro la Scala di Milano, parla della sua carriera e non solo in una intervista a ‘Io Donna’. Ve ne proponiamo alcuni passaggi.

“Quando, a gennaio, mi hanno chiamato all’ultimo momento (causa emergenza sanitaria) per I Capuleti e i Montecchi, in poche ore ho dovuto capire se fosse un rischio o un’opportunità… Ho deciso di buttarmi: bisogna avere il giusto timore, ma anche la consapevolezza del solido percorso alle spalle. Non ho iniziato nel 2012 col debutto sul podio: ho iniziato 45 anni fa, con lo studio del pianoforte”.

Ama le sfide.
“Sì, comunque non sono pazza: se alla Scala mi avessero chiesto di dirigere Salome di Richard Strauss, che adoro, non mi sarei lanciata, non l’ho mai preparata. I Capuleti e i Montecchi l’avevo diretta dieci anni fa, nel frattempo ho approfondito molto Vincenzo Bellini: La sonnambula, Norma, I puritani… Ho preso la partitura e l’ho suonata dall’inizio alla fine. Sono stata a lungo maestro concertatore”. 

I suoi sogni di bambina fin dove si spingevano?
“Mah… Suono da quando ho quattro anni, la musica mi ha accompagnato in modo naturale, non c’è stato momento in cui ho detto: “È la mia strada, miro a un preciso traguardo…”. Già a 19 anni quando, dopo il conservatorio di Santa Cecilia a Roma, sono sbarcata alla Julliard School di New York mi pareva d’aver raggiunto le stelle! Selezionavano 12 pianisti su 500 candidati, la miglior scuola di musica al mondo!”.

Speranza Scappucci si racconta: “Suono da quando ho 4 anni”

Quella che ha ispirato Saranno famosi.
Ballerini, cantanti, attori, musicisti… “Competizione pazzesca, ma magnifica opportunità per entrare da subito nella professione ad alti livelli. Più sviluppavo le mie capacità, più si profilavano nuovi obiettivi. A un certo punto ho deciso di diventare maestro collaboratore: a quel punto, un’aspirazione era diventare pianista al Metropolitan. Ed è successo. Nel 2005 ho incontrato il maestro Riccardo Muti, con cui ho collaborato fruttuosamente vari anni. Poi, però, ho sentito forte l’esigenza di esprimere le mie idee musicali attraverso la direzione e – dopo il debutto con gli studenti all’università di Yale, nel 2012 – ho tagliato di netto col passato. Per fortuna, grazie ai miei contatti, qualcuno ha deciso di darmi fiducia. La Scala da allora è stato un sogno: mi ripetevo “Arriverà quando sarà giusto””.

Un po’ di fatalismo è la sua filosofia di vita?
“Credo dipenda dal carattere, e dall’essere cresciuta in una famiglia molto cattolica: sono convinta che, se si è seri in quel che si fa, le cose accadono. A inizio pandemia, quando venne cancellato il mio debutto al Metropolitan, ero disperata. Subito ho realizzato: se doveva essere ritornerà, e se non doveva essere amen, si presenterà altro. Ho la giusta ambizione (senza, non vai da nessuna parte), ma un approccio calmo: tutti arriveremo dove dobbiamo arrivare, senza spingere, senza esasperarsi. Oltre al lavoro ci sono la famiglia, gli affetti. La salute!”

Esiste una via femminile alla direzione?
“No. La musica è un linguaggio universale che non ha genere: il risultato dipende dalla sensibilità, dall’intuizione e dalla preparazione di chi è sul podio in quanto artista, non in quanto donna o uomo”. 

Secondo lo stereotipo, il direttore è autoritario, una caratteristica poco femminile…
“Il “grande condottiero” appartiene a un immaginario sorpassato. La figura del “maestro” è cambiata, c’è più senso di collaborazione. E anche altro sta cambiando: una generazione di direttrici si sta preparando, vedo già la differenza da quando ho esordito io”.  

Nel suo percorso ha ricevuto solidarietà dalle donne?
“Sì! La direttrice di dipartimento che mi ingaggiò per Yale era una donna, così come Francesca Zambello, la direttrice artistica dell’opera di Washington che, nel 2015, mi propose il debutto con la Cenerentola di Rossini”.

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