Ruggeri: “Io contro il potere, rivoluzionario a modo mio. Scrivevo canzoni per vendicarmi delle ragazze che mi avevano fatto soffrire”. Enrico Ruggeri contro il potere, il cantautore milanese si racconta partendo dalla sua gioventù a cavallo tra gli anni settanta e ’80 in una intervista a ‘Il Corriere della Sera’. Ve ne proponiamo alcuni passaggi.
Chissà chi era la Contessa di quel lontano 1980. Quella che trattava i suoi amanti «come fossero bignè».
«Non mi ricordo nome e cognome».
Va bene, ma esisteva davvero?
«Sì. In quegli anni scrivevo per vendicarmi delle ragazze che mi avevano fatto soffrire. Scrivevo con la mia testa di ragazzino di vent’anni».
[…] Il futuro sembrava fantastico. Poi, in pochi anni, tutto cambiò.
«Anche i sogni dell’adolescenza sono molto diversi dalla vita vera. Ero al liceo classico Berchet quando cominciarono le occupazioni, i picchetti, le botte a quelli con il loden. Qualche compagno di scuola sarebbe passato negli Anni 80 alla lotta armata. Barbone, Morandini. L’omicidio Tobagi. Le Brigate Rosse. Fecero irruzione l’eroina e pure l’Aids, che innescò una retromarcia alla liberazione sessuale.
La nostra generazione ha assistito a cambiamenti epocali. Penso solo al telefono: nelle prime tournée mi portavo il cestello dei gettoni per chiamare casa. E scrivevo lettere, compravo i francobolli, cercavo una cassetta postale per infilarle nella buca “altre destinazioni”. Poi aspettavo la risposta, non c’era la notifica “letta”, a darmi la certezza che fosse arrivata e che fosse stata aperta».
[…] E il vostro primo gruppo punk, allora? Champagne Molotov . Un nome, un programma.
«Eravamo rivoluzionari dandy. All’estero c’erano i Roxy Music, David Bowie, e in Italia erano considerati di destra. Sa perché? Perché il Movimento Studentesco era stalinista e omofobo, coltivava il mito dell’uomo di ferro. Chi leggeva D’Annunzio era considerato decadente e di destra. Ma era senz’altro più gay friendly del movimento. Ero un rivoluzionario, ma a modo mio».
Ruggeri: “Io contro il potere”
In che modo di preciso?
«Sciascia diceva che l’intellettuale, per sua natura, deve andare contro il potere. E in quegli anni, a Milano, dominava il potere della cultura di sinistra. Al liceo i professori di filosofia saltavano a pie’ pari Nietzsche e Schopenhauer e si ripresentavano con Herbert Marcuse. Dal programma di letteratura italiana sparivano Giovanni Verga e Pirandello, D’Annunzio e il Futurismo, per arrivare direttamente alle Lettere dal carcere di Gramsci. Siccome ero un bastian contrario, io mi tenevo D’Annunzio nascosto nello zaino».
È vero che, da giovanissimo interista, si appostava davanti al negozio di divise Fraizzoli nella speranza di scorgere il presidente, Ivanoe?
«Verissimo. A Milano, in via De Amicis. Spesso il presidente se ne stava proprio lì, alla cassa».
È vero che conserva ancora tutta la collezione di figurine Panini?
«Certamente […] E guai a chi me li tocca. Qui c’è anche tutta la mia vecchia collezione di automobiline, carri armati, soldatini».
Altri punti di riferimento nella Milano Anni 70?
«Il Palalido. Da Lou Reed a Iggy Pop, li ho visti tutti lì. La sera di febbraio del 1975 quando arrivò Lou Reed gli organizzatori dovettero sospendere il concerto per la sassaiola che si era scatenata dall’alto: veniva contestato un ebreo solo perché vestiva di nero, aveva il giubbotto con le borchie e veniva scambiato per un nazista».
Anche i Decibel , il gruppo nato dalla fusione tra Champagne Molotov eTrifoglio , in quegli anni ebbero una popolarità tumultuosa…
«Il nostro era un gruppo punk e quando andammo a Sanremo per la prima volta, nel 1980, sui muri sotto casa mia, in via Muratori, comparve la scritta: Decibel servi del sistema. Quando suonammo al Palalido, davanti a quattromila persone, si sentivano i cori: Decibel, Decibel, figli di puttana! Eravamo il primo gruppo alternativo al Festival e il movimento punk ci trattò da rinnegati. Due anni più tardi, a Sanremo, sarebbe arrivato Vasco Rossi».
Ruggeri: “Io contro il potere, rivoluzionario a modo mio”
E se non c’erano abbastanza tafferugli attorno a voi, li provocavate, giusto?
«Una volta, sì. Un amico abitava di fronte in via Redi, angolo corso Buenos Aires, davanti a un locale, “La piccola Broadway”. Avremmo voluto suonare lì, ma il titolare esitava. Stampammo lo stesso duemila manifesti che annunciavano il nostro concerto punk, il 4 ottobre 1977, ingresso 1500 lire, e li attaccammo vicino ai licei, ai centri sociali, ai circoli Arci. Quella sera non provammo nemmeno a esibirci. Dalla terrazza del mio amico, vedemmo trecento punk radunarsi entusiasti davanti a “La piccola Broadway” e due cortei, uno del comitato antifascista e l’altro di Avanguardia operaia, confluire in corso Buenos Aires per andare a menare i “fascisti”. Ci fu qualche ferito, la polizia caricò e, il giorno dopo, i giornali titolarono: scontri a Milano al concerto dei Decibel. Così, a fine novembre, eravamo già sotto contratto con una casa discografica e usciva il nostro primo album».
Sua mamma era contenta?
«Mia madre sapeva solo che mi ero fatto i capelli biondi. È andata avanti a pagarmi la retta per la facoltà di Giurisprudenza fino al 1987».
Quando già si sarebbe dovuto laureare da un pezzo.
«Esatto. Ma quando ho vinto Sanremo con Umberto Tozzi e Gianni Morandi, le ho comprato la casa perché non volevo che vivesse più in affitto. E per consolarla di non avere un figlio avvocato».
O magistrato.
«Mai. Sono un difensore nato».
Anche nella Nazionale Cantanti?
«No. A calcio gioco più avanti. Ho il numero 10. Mi piace fare gli assist e permettere ad altri di segnare».
Perché?
«Perché amo respirare aria di gratitudine. Si gioca a pallone in modo simile al proprio carattere. Morandi, per esempio, non mollava mai la palla ed era sempre dove serviva». […]
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