Cremonini: “Mia storia familiare con spettro del dolore psichico. Ho rischiato di perdere il mio mondo”. Cesare Cremonini, la storia familiare e non solo, il cantautore bolognese si racconta parlando a cuore aperto della sua vita privata in una intervista a ‘Vanity Fair’. Ve ne proponiamo alcuni passaggi.
Spiegami la tua tenebra.
«Quando ho perso mio padre mi sono ritrovato più fragile, e solo, ad affrontare i giorni che conosciamo tutti. Avevo smarrito i miei riferimenti maschili e forse anche per questo mi sono rifugiato nella femminilità, una grande risorsa. La ragazza del futuro è arrivata a salvarmi con il suo orizzonte creativo».
La musica ti ha sempre salvato?
«Preferisco dire che la musica mi ha guidato e io mi sono sempre fidato di lei. Sono un uomo che vive di prospettive e l’assenza di prospettive per me è come uccidere il bambino che sognava un avvenire sorridente. Mi ruba l’inconscio questa cosa. E senza inconscio cosa siamo?».
[…] A cosa stai pensando, Cesare?
«Sto pensando che con questo album ho aperto un capitolo nuovo della mia vita professionale e il terzo decennio della mia carriera. Se mio padre fosse ancora qui mi direbbe: “Ce, il ragazzo del futuro sei tu”».
Il padre, i padri: la tua corda vocale più acuta.
«Sì, perché ho avuto una storia famigliare attraversata dallo spettro del dolore psichico. Io con la musica ho potuto reagire e sento una grande responsabilità per questo. Anche se il rischio è stato grosso».
Cremonini: “Mia storia familiare con spettro del dolore psichico”
Cos’hai rischiato?
«Di perdere il mio mondo. Ho una spina nel cuore. È come se sentissi che per potere godere a pieno della mia vita io debba prima occuparmi della cosa più importante, gli altri».
Gli altri chi?
«La mia famiglia, certo, ma anche gli amici, i collaboratori. Vorrei sempre che chi mi circonda godesse delle mie conquiste».
Suona quasi come un richiamo alla paternità.
Ride. «Calma. Per il primo figlio hanno regalato a un mio amico un libro sul diventare genitori. L’ho letto e mi è parso un manuale di sopravvivenza! L’idea della paternità mi commuove pur non avendone esperienza, ma per ora sono ancora attratto dalla mia libertà».
[…] Com’era Cesare bambino?
«Irrequieto, sensibile. Scrivevo poesie anziché studiare. E mia madre, convinta nascondessi chissà quanti problemi e segreti, sequestrò tutti i miei fogli per far analizzare a un esperto la mia grafia. Quando le dissero che non c’era nulla di strano ci rimase male».
[…] «Far felici gli altri non significa non conoscere la tristezza»: è una frase che hai scritto nel tuo libro.
«Chi ha avuto esperienze familiari forti è una persona che può arrivare fino al fondo della bottiglia senza sapere più dove andare. La musica, soprattutto quella classica da cui provengo, mi ha predisposto verso l’ascolto delle emozioni e mi ha aiutato ad attraversare la vita. La conseguenza è che il mio spartito tiene insieme sia la mia parte malinconica, sia quella burrascosa, sia quella gioiosa».
Seguici anche su Facebook. Clicca qui
Aggiungi Commento