José Carreras: “Io ispirato da Caruso. Era napoletano, c’era un aspetto in comune. Leucemia? Avevo il 10% di possibilità…”. José Carreras ispirato da Caruso, il noto tenore si racconta ripercorrendo le tappe della sua vita privata e professionale in una intervista a ‘Il Corriere della Sera’. Ve ne proponiamo alcuni passaggi.
Ma qual era il film che segnò il suo destino?
«Il grande Caruso con Mario Lanza. Quando lo vidi non sapevo nulla di nessuno dei due, avevo 6 anni, al cinema ci andavo al pomeriggio, due film al prezzo di uno. Il secondo non lo vidi, Caruso mi infiammò talmente che, appena uscito, mi misi a cantare».
Cosa la colpì così tanto?
«La voce, le canzoni, il fatto che venisse da una famiglia di Napoli povera come la mia di Barcellona. Mio padre, maestro di scuola, aveva perso il posto perché repubblicano nell’epoca di Franco. Mia madre, parrucchiera. Un’infanzia povera ma piena d’amore, di valori importanti che restano per sempre. Quando a casa annunciai che avrei fatto il cantante, nessuno cercò di dissuadermi. Prova, mi dissero».
E lei provò
«L’anno dopo ero iscritto al Conservatorio. Poco dopo alla radio cantai La donna è mobile. Un bimbo in braghette che canta Rigoletto! A 11 il debutto a Liceu con De Falla, un ruolo per voce sopranile qual era la mia allora. Montserrat Caballé mi notò, mi invitò a cantare con lei nella Norma. Stavolta da tenore. E tutto cominciò».
José Carreras: “Io ispirato da Caruso”
Cosa è rimasto di quel bambino audace?
«La passione per la musica. La gioia di esprimermi cantando a 75 anni è sempre intatta. Sono stato fortunato. Ho realizzato i miei sogni, ho cantato nei primi teatri del mondo, con i direttori più grandi, da Karajan a Bernstein, da Abbado a Muti a Chailly».
Ricordi?
«Di Karajan si diceva fosse un dittatore, per me solo un gran professionista. A Salisburgo era il primo a arrivare, l’ultimo ad andarsene. Muti lo apprezzo per i suoi modi diretti, Abbado per la capacità di guidarti con tatto e umanità. Sotto la sua guida debuttai alla Scala nel Ballo in maschera. Avevo 28 anni, le gambe mi tremavano, fu bellissimo».
Con Bernstein incise «West Side Story».
«L’unica volta che ho avuto a che fare con un direttore compositore. Lenny era un vulcano, sprigionava musica da ogni poro. A ogni aria mi veniva in mente il film visto da ragazzo, innamorato come tutti, di Natalie Wood. Penso di andare a vedere il film di Spielberg».
[…] A 40 anni la sua carriera fu interrotta dalla malattia…
«Mi sentii male durante le riprese della Bohéme di Comencini. Leucemia, i medici dissero che avevo una probabilità su 10 di cavarmela. Mi aggrappai a quell’unica con tutte le forze. Mi hanno guarito i medici, l’affetto dei miei cari, di tante persone sconosciute. E la musica. Non mi ha mai lasciato. Ascolto di tutto, opera ma anche pop. Amy Winehouse mi dà grandi emozioni».
Seguici anche su Facebook. Clicca qui
Leggi anche:
Branduardi: “Covid come peste in Medioevo. Ho avuto tante debolezze. E su ‘La fiera dell’Est’…”
Aggiungi Commento