Marco Giallini: “Un uomo misterioso viveva in casa mia. Io innamorato? Nel mondo c’è solo una persona per me”. Marco Giallini e l’ uomo misterioso che viveva in casa sua da piccolo, l’attore si racconta partendo proprio dall’infanzia in una intervista a ‘Il Corriere della Sera’. Ve ne proponiamo alcuni passaggi.
Cos’è la dittatura dell’io?
«Tutti con ’sti labbroni, tutti con ’ste fotografie, cos’è Facebook? Il libro delle facce… Ma a me che importa che faccia c’hai? Ma perché non ti posso incontrare per strada? Sa la verità? Che io non posso sobbarcarmi tutto».
Tutto che cosa?
«L’animo gentile, l’animo vicino a Dio, prende tutto. Perché è sensibile, perché ha uno sbaglio di sangue, di vene, di capoccia».
Quando ha capito che ha l’animo gentile?
«Da bambino. Quando vedevo tutti felici a casa. Papà, dopo dieci ore di lavoro, tornava in un buco, morto di fatica, un po’ bevuto per non sentire, non capire, e mi faceva l’occhiolino e tutti ridevano, e io facevo finta di andare in bagno e mi veniva da piangere. L’ho capito anche con mio nonno, che non era mio nonno, Ercole si chiamava, era una persona misteriosa che ci tenevamo dentro casa.
Un giorno, avevo 9 anni, passiamo insieme davanti a un boss del quartiere. Tornava da caccia con la doppietta. Ercole mi fa: ahò, non gli stare vicino a questo, che ti dà una revolverata. E il boss disse solo: buongiorno, Ercole. A un altro, l’avrebbe accoppato, i meccanismi erano quelli. Ho pensato: ma chi è Ercole? Mi è rimasto il mistero. Chiedevo a mio padre. Niente».
Come arriva l’idea di fare l’attore?
«Stavo lì, ragazzino, la testa che ti senti che ti va tutto stretto. Il tempo passa. Gli amici mi dicevano: ma perché non fai l’attore? Ero quello che, se c’è Giallini, andiamo, se non c’è, dove andiamo? Non è una bella cosa, anzi: è come se tutti avessero bisogno di te, è un po’ dura. Alla fine, ti rompi e ti chiudi qua. Alla fine, io sto in lockdown da quando è morta Loredana».
Marco Giallini: “Io innamorato? Nel mondo c’è solo una persona per me”
A luglio, sono dieci anni.
«Quello è il momento in cui ho deciso di diventare popolare. L’ho deciso proprio, perché sarei uno che s’adagia, sono pigro, ammazza come sono pigro. Nel senso che ancora aspetto di giocare con la Roma. Ero arrivato qui, a Tor Lupara, per Loredana. Ci siamo messi in 40 metri, non eravamo abbienti. Ci siamo sposati nel ’93, facevo teatro e altri lavori, però avevo ripreso la scuola, mi ero iscritto a Lettere e a scuola di recitazione. Ero diventato bravo, colto, oltre che bandito».
Quanti sacrifici ci sono voluti?
«Facevo l’imbianchino, otto ore. E la sera, la scuola di teatro. Poi, otto ore erano troppe. Ho iniziato a portare il camion delle bibite, la mattina. Dopo, tornavo a casa, doccia, prendevo il mio Yamaha, andavo a scuola. Parcheggiavo contro il muro, non avevo manco il cavalletto e entravo, col chiodo, i capelli lunghi. Boom! A volte, mi prendevano per uno spettacolo. Un giorno, per strada, avevo il cappello di carta da muratore, incontro un collega attore. Mi guarda: ma che fai? E io: stamo a fa’ un film».
Teatro ne ha fatto tanto. Il cinema è arrivato tardi: primo film a 35 anni, diretto da Marco Risi ne «L’Ultimo Capodanno».
«Però sono esploso ancora dopo, a 49, con il Nastro d’argento per Acab e la nomination ai David per Posti in piedi in Paradiso. Prima, quando c’era Loredana, avevo fatto 35 tra film e serie, però ero secondo, terzo attore: se sei primo, i progetti li fanno su di te. Lei ha visto solo l’inizio. Sul primo contratto, legge la “rata film”, la prima di dieci, ma pensava fosse tutto lì. Dice: solo questo? E io: no, devi mettere un altro zero. Le vennero le lacrime. Bello o no?».
Ha deciso di diventare popolare solo da vedovo per riempire il tempo e non pensare?
«Per dare una possibilità in più ai figli. Dovevo tirarli su come ci eravamo promessi. Lei voleva che facessero il Classico, uno lo fa, l’altro l’ha finito: è una cosa stupenda, chi fa il Classico si riconosce da lontano».
Marco Giallini: “Un uomo misterioso viveva in casa mia da piccolo”
Mancata sua moglie, come ha fatto con due figli di 12 e 5 anni e di che aveva paura?
«Che ne so, il dolore era troppo. Il pensiero che lei rientri a casa da un momento all’altro dura due anni, poi, capisci che morire è prassi. Non a 40 anni. Non fra le mie braccia, mentre prendiamo le valigie per le vacanze. Ma non sono l’unico a cui è successo. Fare a meno è questione di testa, anche fare a meno delle menti dei bimbi non più chiare, del loro pensiero: vorresti sapere che pensano il giorno della festa della mamma o quando spegni la tv e quello, a 5 anni, strilla: mamma mamma».
Il dolore non passa mai?
«E che passa? Ti dimentichi un po’ la voce».
La sentiva, come il suo Rocco Schiavone, che vive col fantasma della moglie e la vede?
«No, ma ci parlo ancora. Quando sto solo e qualcosa non va. Dico: Eh amore mio…».
Si è più innamorato?
«Ma di chi? Ma perché? Innamorato ero di mia moglie. Per 27 anni, non ci siamo mai lasciati e non abbiamo mai litigato. Lei era la donna mia e io il suo uomo. Nel mondo, quante ce ne possono stare di persone per te? Una».
Come se l’è cavata coi ragazzi?
«Mi hanno aiutato il fratello di Loredana e sua moglie, che si sono trasferiti al piano di sotto. I miei figli mi dicono ti amo. Quanti figli ti dicono: ti amo? Sono bravi. Il grande, una volta, mi disse: io l’adolescenza non l’ho avuta, mamma è morta che avevo 12 anni e non ho avuto nessuno da punire».
[…] Le capita ancora di piangere di nascosto?
«Come tutti, come i veri duri. Perché lo sono. Se no, sarei morto».
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