Elio: “Sanremo? Avevamo vinto, ma mi hanno detto che non si può dire. Band sciolta? Non proprio…”. Elio su Sanremo e non solo, il leader del gruppo ‘Elio e le storie tese’ si racconta ripercorrendo le tappe della sua vita professionale e non, in una intervista a ‘Il Corriere della Sera’. Ve ne proponiamo alcuni passaggi.
Lei è lanciatore, battitore, o ricevitore?
«Sono una schiappa, quindi: esterno, dove stanno i meno capaci. In una band, sarei quello che suona l’accompagnamento e non si vede, però si sente ed è importante».
Non era quello il suo ruolo dentro Elio e le Storie Tese.
«No, ma in realtà, da piccolo, sognavo di suonare senza essere visto».
I travestimenti servono a non essere visto?
«Sì, anche la scelta del nome finto. All’anagrafe, sarei Stefano Belisari. Però, ero a un bivio: o fare qualcosa nella vita o restare dietro le quinte. Ho scelto la seconda con grandissimo sforzo e ci ho preso gusto».
Primo travestimento?
«Da bambino, obbligato da mio padre a una gara canora in crociera. Sapevo tutte le canzoni dello Zecchino d’oro. Pure lì arrivai secondo».
Come al primo Sanremo, nel 1996, dove però si parlò di brogli e forse era primo.
«C’era stata un’indagine sulla classifica. Ci interrogarono e un investigatore mi confidò: avete vinto voi, ma non si può dire. Dopo anni, vedo Giorgia e mi fa: l’hanno detto anche a me».
Elio: “Sanremo? Un investigatore mi fece una confidenza”
[…] Lei che infanzia ha avuto?
«Mamma era casalinga, papà lavorava con gli elettrodomestici. Io sentivo sempre i 45 giri. Per fortuna, in casa, c’erano bei dischi, i Beatles, Enzo Jannacci, che aveva fatto il Liceo Berchet con mio padre, il quale mi raccontava sempre del compagno diventato grande cantante».
Fu quell’esempio a ispirarla?
«Credo di sì, col senno di poi».
Anche Jannacci era maestro di nonsense.
«Era un genio e non ha avuto nessuno a cui ispirarsi. Dal 15 dicembre, faccio un tour dedicato a lui, Ci vuole orecchio, inizio a Forlì».
L’ha mai conosciuto?
«Nell’ospedale dove venni operato di appendicite a 12 anni. Faceva il medico lì, mi visitò, ma dormivo».
L’incontro con la musica?
«In quarta elementare, ci chiesero chi si volesse iscrivere alla Scuola Civica, io sono saltato in piedi: avevo proprio voglia. Mi assegnarono il flauto, mi sono diplomato. Avrei preferito il piano, ma alla fine il flauto è meno ingombrante: quelli col contrabbasso o le tastiere mi guardano sempre con invidia».
Al liceo, fonda Elio e le Storie Tese.
«Mi estromisero da una band e mi arrabbiai così tanto che mi dissi: faccio il mio gruppo».
Il nome come nasce?
«Arriva dopo. Lo inventai con un compagno di Ingegneria, cercando un nome orrendo».
Perché una laurea in Ingegneria?
«Gli ingegneri sono menti aperte, hanno fatto tutto ciò che vede attorno a noi. E io non avevo la percezione che la musica potesse essere altro che un modo per stare con gli amici, sfogare le mie attitudini. Mi sono licenziato da impiegato della rete interbancaria solo col secondo disco».
[…] Giorgia ha raccontato che vi trovò in uno studio di registrazione nel mezzo di una sparatoria con pistole giocattolo. Eravate sempre così?
«Non è che eravamo così: lo siamo ancora».
Elio: “Sanremo? Avevamo vinto, ma mi hanno detto che non si può dire”
Non vi siete sciolti nel 2018?
«Non ci siamo sciolti, ci vediamo sempre, la differenza è che non facciamo più live o dischi, fino a nuovo ordine. Adesso abbiamo ripreso Cordialmente su Radio Deejay, con Linus. Non volevamo che il gruppo diventasse un lavoro impiegatizio in cui devi creare solo perché bisogna campare. Poi, chiaro: l’arte si lega anche al guadagno. Anzi, ci terrei se mi facesse ricordare che, in questo Paese, moltissimi campano di cultura, che è anche tv, musica, cinema, comicità. Ci tengo perché non ho mai digerito quel ministro che disse “di cultura non si mangia”».
Il primo album aveva un titolo impronunciabile.
«Elio Samaga Hukapan Kariyana Turu. Erano parolacce in cingalese. Avevamo un successo incredibile ovunque suonassimo, ma per dieci anni nessuno aveva voluto farci fare un disco. Anche quello lo rifiutarono tutti, anche insultandoci, tranne la Cbs».
C’era dentro anche una canzone sul pornoattore John Holmes.
«L’appassionato di porno è Rocco Tanica. Sul tema, è un’enciclopedia. Attraverso di lui, per un po’, ci siamo tutti appassionati alle trame hard».
[…] Come vi venne in mente di fare i nomi dei politici in odore di corruzione al Concertone 1991?
«Fa parte della voglia di fare cose mai osate. I colleghi già vivevano quel palco come una promozione del disco, noi pensavamo che andasse fatto altro. Alla prova generale, davanti al funzionario che vigilava, facemmo una canzone normale, ma in diretta, attaccammo un rap coi nomi dei politici indagati dalle commissioni parlamentari d’inchiesta e, guarda caso, archiviati. Ci oscurarono mentre i tecnici ci trascinavano via dal palco».
Della sua vita privata si sa poco, solo che ha una compagna e due gemelli di 12 anni.
«Ma non ne parlo. Se no, in un attimo, si arriva all’autismo di mio figlio, che non possono essere due righe in un’intervista. Su questo, voglio fare qualcosa che porti effetti in un campo dove c’è da costruire tutto».
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