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Matilde Gioli: “Incidente? Ho rischiato di restare paralizzata. Sono molto legata a 3 uomini incontrati sul lavoro”

Matilde Gioli: “Incidente? Ho rischiato di restare paralizzata. Sono molto legata a 3 uomini incontrati sul lavoro”. Matilde Gioli, l’ incidente è non solo, l’attrice si racconta tra vita privata e professionale ripercorrendo alcune tappe della sua vita in una intervista a ‘Il Corriere della Sera’. Ve ne proponiamo alcuni passaggi.

Matilde Gioli. Attrice «per caso». Si trattò davvero di fatalità?
«Me lo domando spesso e le risposte sono cambiate nel tempo. Forse mi trovavo nel posto giusto al momento giusto, stavo accompagnando mio fratello a minibasket e i provini per il film di Virzì, Il capitale umano si svolgevano proprio lì. Però, se guardo il mio percorso professionale mi rendo conto che non fu proprio un accadimento accidentale. Forse c’è una parte inconsapevole, un inconscio che ti guida verso una direzione. Lo capisco oggi per come sento e tratto ciò che fa parte del mio lavoro».

Decise di adottare il cognome di sua madre Francesca. Il babbo, Stefano Lojacono era consenziente?
«Certo. In famiglia abbiamo vissuto ciò che accadeva come un gioco. Mi trovavo in scena per la prima volta, ero completamente avulsa da tutto ciò che riguarda il cinema. Ad un nome d’arte non pensavo proprio. Paolo Virzì, dopo avermi scelta, assunse subito un ruolo importante nei miei confronti, forse perché ero diversa dalle attrici professioniste con le quali era abituato a lavorare.

Mio padre stava già male, sarebbe scomparso poco tempo dopo e quando mia madre venne a trovarmi sul set, Paolo, toscano come lei, suggerì di adottare il suo cognome nella sola professione. Era una suggerimento protettivo, Matilde Lojacono in questo modo poteva continuare la propria vita in modo più riservato. Fummo tutti felici di quell’idea».

Matilde Gioli: “Incidente? Mi ha tolto tanto”

[…] Il pudore aiuta o complica?
«Se penso alla fisicità, mi accorgo di essere molto aperta, è difficile che mi vergogni. Questo mi permette di affrontare con una certa elasticità una scena delicata. Non dico non ho pudore, ma sul lavoro lo sguardo degli altri non mi blocca. Ho conosciuto colleghi più riservati, diciamo così, che hanno sfruttato un limite apparente in una risorsa. Il trattamento di un personaggio può seguire strade diverse e comunque interessanti, rivelatorie».

[…] Il mondo del cinema è inevitabilmente maschilista?
«In Italia, abbastanza. Il tema è sul tavolo da tempo e devo dire con piacere che ho notato un cambio di rotta. Poi dipende dagli incontri. Virzì è un regista che cura e attribuisce grande importanza ai ruoli femminili ma su cento film italiani ne troviamo tanti con personaggi femminili un po’ confinati. Mogli di protagonisti, fidanzate di protagonisti, figlie di protagonisti maschili.

Credo sia molto difficile esprimere giudizi sulle responsabilità perché stiamo parlando di un argomento che ha a che fare con nodi complessi di una cultura. Spesso certi ruoli femminili non mi sembrano valorizzati, storie interessanti che finiscono per essere trascurate. Ma evidentemente esistono molte persone alle quali va bene così».

Matilde Gioli: “Incidente? Io bloccata da un busto a 16 anni”

Testimonial per una campagna sul congelamento degli ovociti per preservare la fertilità femminile. Quali battaglie è disposta a combattere?
«Mi ha coinvolto la percezione di scarsa consapevolezza che riguarda tante giovani donne: alcune scelte di vita mettono a repentaglio la capacità riproduttiva. Il congelamento degli ovociti per chi deve affrontare cure tossiche credo rappresenti una opportunità. Punto. Non sto affatto dicendo che una gravidanza vada programmata con leggerezza.

Ho dato il mio sostegno ad una iniziativa convincente messa in campo da alcuni medici. Per il resto evito di espormi per il gusto di farlo. Credo che ciò che accade sui social istighi ad una certa superficialità, all’adesione istantanea ad una iniziativa, ad una petizione, persino alla solidarietà di fronte ad un lutto. Preferisco percorrere altre strade privatamente. Anche perché odio far finta di conoscere a fondo un tema e dire la mia. Credo si tratti anche di una questione di rispetto nei confronti di chi conosce davvero una dinamica, una realtà, un problema serio».

Il divismo è una conseguenza incontrollabile o è una trappola da evitare?
«Non credo sia una conseguenza obbligatoria. Ci sono varie tipologia di divismo. Alcune persone manifestano un’aura affascinante ma penso si debba fare molta attenzione a non scivolare verso l’arroganza o la presunzione. Cerco di non essere giudicante, per me uno se la può anche tirare, non mi infastidisce. A patto che non perda la misura, l’educazione, l’attenzione verso gli altri. Quando vedo gli eccessi del divismo, vale a dire scortesia nei confronti della troupe, una certa arroganza, capricci di fronte a cento persone, la faccenda si fa insopportabile».

Matilde Gioli: “Incidente? Ho rischiato di restare paralizzata”

[…] Un fidanzato, Alessandro, insegnante di equitazione. Che non sapeva nulla della sua carriera. Conquistata dalla concretezza?
«Esattamente. Tutto ciò che mi tiene agganciata alla realtà ed esula dal mondo che frequento per lavorare mi attrae. Alessandro ha un animo buono e semplice. Ci somigliamo.

Condividiamo una capacità di ridere, di gioire delle piccole cose. Ha a che fare con l’universo dell’infanzia, dei bambini. Natura, animali, buon cibo, chiacchiere, sport, risate. Ogni altro privilegio che pure mi riguarda, da un hotel di lusso ad un contesto elegante, produce piaceri più effimeri, roba di poche ore. Nel quotidiano tutto ciò non mi interessa affatto».

Incontri decisivi, persone indimenticabili. Chi le viene in mente?
«La mia famiglia e poi tre uomini incontrati sul lavoro ai quali sono molto legata: Diego Abatantuono, Marco D’Amore e Francesco Ghiaccio, regista di Un posto sicuro. Mi hanno accolta, amata, protetta. Generosi in tutto, nei consigli professionali, nelle attenzioni. Angeli, incontri felici, persone care che porto nel mio cuore. Nei momenti di sconforto sono stati loro a darmi la carica, la forza».

Un grave incidente subito in piscina da adolescente, che ha rischiato di paralizzarla, la morte precoce di suo padre. Il dolore cosa può restituire?
«Quell’incidente mi ha tolto tanto perché avevo 16 anni ed ero bloccata con addosso un busto di ferro, una lunga, anticipata quarantena. Però ne parlo con gioia perché rischiavo la sedia a rotelle mentre ora sgambetto, con la sensazione di sfruttare risorse che non pensavo di possedere.

Il lutto è una cosa diversa. Pesa di più, ciò che manca non torna e per certi versi è insopportabile. Mio padre non esiste più: il verdetto è definitivo ma non lo accetto, faccio cose strane, lo chiamo al telefono, mi chiedo dove diavolo sia. Non poter parlare con lui produce una tristezza profonda. Con la consapevolezza di aver ricevuto tantissimo da lui, la capacità di amare, di stringerci. Purezza e chiarezza. Questo resta. E ritorna».

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