Kasia Smutniak: “In 3/19 ho scoperto cose che avevo sepolto. Camilla? Non dirò mai cosa c’è di diverso”. In «3/19» di Soldini (dall’11 in sala per Vision, prodotto da Cerri e Mainardi) Kasia Smutniak interpreta un avvocato in carriera la cui vita una sera a Milano viene travolta. Investita da un motorino, un ragazzo immigrato muore nell’incidente e in lei, «senza volerlo, comincia un processo di cambiamento profondo». Tanti temi offrono un gioco degli specchi tra la vera Kasia e la finzione di Camilla, che cerca di restituire un nome allo straniero che muore. Ne parla in una intervista rilasciata a ‘Il Corriere della Sera’, della quale vi proponiamo alcuni passaggi.
Ci riporta alla Polonia dell’attrice, contro gli immigrati, l’aborto e altre libertà conquistate che sta perdendo in così tempo, contro l’idea romantica che abbiamo del suo Paese d’origine…
«Ma questo non può pesare sul sentimento che mi sento più vicina all’Italia, anzi, mi attacco ancora di più, anche se ho tanta rabbia e frustrazione. La Polonia non è solo quello. C’è chi rischia e protesta per strada. Io stesso ogni tanto piglio e vado, sull’immigrazione sono andata con un cartello davanti al ministero dell’Interno».
È un film sul senso di colpa.
«Ci nasciamo, nei Paesi cattolici si viene battezzati per sentirsi puri. Io non sono stata vicino abbastanza ai miei genitori, e penso al mondo che lasceremo ai figli».
[…] Camilla comincia un percorso di ricerca e rinascita dopo la morte della sorella che aveva nascosto a sua figlia.
«Cosa c’è di diverso e di uguale rispetto a me non lo dirò mai. Emotivamente non mi aspettavo quanto potesse essere difficile, perché ho scoperto cose sepolte, che pensavo risolte, è una storia che ha prodotto cambiamenti irreversibili dentro di me, l’elaborazione del lutto è un tema che mi è vicino… Gli attori fingono le emozioni, altre volte le vivono davvero e non capisci dov’è la verità. È una cosa così intima e traumatica che la tengo per me stessa».
Kasia Smutniak: “In 3/19 ho scoperto cose che avevo sepolto”
L’alterità di Camilla ricorda l’educazione rigida che ricevette in Polonia, l’ambiente militare di suo padre, i casermoni tutti uguali, la disciplina?
«No, per niente. Ho incontrato delle avvocatesse di finanza e ho scoperto un mondo adrenalinico».
Ancora nel film, si parla di chirurgia estetica.
«Io a 40 anni sto bene con me stessa, non nascondo il tempo che passa, ne vado fiera, mi piace come cambia il mio corpo, per me è più bello di chi finge di averne 20, sarebbe come cancellare la mia storia. Ho più problemi con i media e i social che ti caricano di filtri».
Si sente più morbida di carattere?
«Direi di no. E dopo il lockdown non mi va di sprecare tempo con cose inutili, ogni momento è importante».
Kasia femminista, come una volta.
«Bisogna ritirare fuori concetti culturali, è ora di includere gli uomini su certi temi. L’aborto per esempio. Perché se far sesso riguarda tutti, per gli uomini come contraccettivo esiste solo il preservativo mentre noi abbiamo anche farmaci che modificano lo stato ormonale? Non possiamo parlare di libertà e diritti senza che gli uomini prendano parte attiva. Parliamo di femminismo: perché non inventiamo una parola adatta per l’altra metà della popolazione?».
Lei dice d’aver mimetizzato a lungo la sua femminilità, le sembrava di doverla nascondere.
«Era l’unico modo per potermi muovere nella società liberamente, senza scadere nei cliché dei pregiudizi… La modella dell’Est, per dirne uno. Sono cresciuta nelle caserme in un ambiente maschile, giocavo a fare la guerra, sparavo, sono diventata pilota a 16 anni. Essendo una ragazza carina per poter essere un po’ più ascoltata e non essere catalogata avevo bisogno di diventare invisibile. E’ ridicolo pensare che il pilota non è un lavoro da ragazze. Lì non serve la forza… Io non sono un maschiaccio, sono una donna normale e queste sono le mie passioni. Mi piace anche cucinare e fare l’uncinetto. Ma non fa notizia».
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