Laura Pausini: “Pianobar? Mio padre mi ha insegnato un aspetto. Successo? Mi manca che non mi si fili nessuno”. Laura Pausini ricorda i suoi primi passi nel mondo della musica da quando era poco più che una bambina in una intervista a ‘Tv Sorrisi e Canzoni’. Ve ne proponiamo alcuni passaggi.
Partiamo da quando tutto è cominciato tutto.
«La partenza è stata il 16 maggio 1982, giorno del mio ottavo compleanno, quando ho cantato “Dolce Remi” di fronte al pubblico del ristorante Napoleone di Bologna, dove mio babbo faceva pianobar».
Cosa l’affascinava del pianobar, il mestiere di papà Fabrizio?
«Intanto mi piaceva sentire la sua voce. Poi nelle canzoni trovavo me stessa, perché le canzoni sono malinconia e sogno, e questo rispecchiava il mio carattere… Da piccola mi piaceva rimanere da sola con la musica perché ci ritrovavo le mie inquietudini e le mie gioie».
Uno pensa che fare il pianobar sia facile: vai lì, accendi la tastiera e suoni.
«No, no. C’era tantissimo studio, e poi montare tutto all’arrivo e smontare alla fine… Mio babbo mi ha sempre fatto capire che ci voleva disciplina, anche se io all’inizio l’ho vissuto come un hobby: meglio il pianobar che andare a danza! Ho sempre sognato di fare pianobar, ma ho anche sempre pensato che non avrei potuto farlo di professione. Per me era già un sogno avere un padre che faceva musica e seguirlo ogni tanto. Fino ai 16 anni mia mamma mi ha lasciato andare con lui solo al venerdì e al sabato sera; solo durante le vacanze estive andavo tutti i giorni con lui a Cervia».
Quanto ci mette a imparare una canzone?
«Visto che di solito mi scrivo i testi, il problema non è imparare le canzoni, ma le versioni definitive. Durante la scrittura mi succede di cambiare qualche parola, e così sul palco capita che io “modifichi” pezzi anche famosi perché mi torna in mente quel che avevo scritto prima di registrarli. Non sono bravissima con la memoria».
Laura Pausini: “Pianobar? Mio padre mi ha insegnato che occorre disciplina”
Ma come!? Dopo anni di dischi e di tour?
«Infatti! Penso che mi abbia abituata male il pianobar. Dopo la sera di “Dolce Remi”, mio babbo mi ha detto: “Davvero vuoi cantare?”. E lì ho preparato un quadernone con dieci canzoni. In dieci anni di pianobar i quadernoni sono diventati 30, e visto che all’inizio mi vergognavo, tenevo sempre gli occhi fissi su quelli. Oggi il mio quadernone è il prompter (un monitor su cui scorrono i testi, ndr): non lo guardo quasi mai, ma mi dà sicurezza. Un po’ come gli occhiali da sole: quando passeggiavo per il paese, me li mettevo sempre se sapevo che avrei potuto incontrare il famoso Marco di “La solitudine”».
A proposito di canzoni ancora da cantare: lei si è esibita in tutto il mondo, ma non ancora in Asia. Come mai?
«All’inizio della carriera, prima è esplosa l’Europa, poi l’America. Per “coprire” questi territori, parlando come se fosse “Risiko”, avevo i calendari pieni e per otto anni non sono mai stata a casa. Quando l’Asia si è accorta di me, le cose non si incastravano mai».
Ma non l’ha dimenticata, vero?
«No! Ma le dirò che da quando c’è mia figlia Paola, mi piace sapere che ci sono posti dove non sono mai andata e potrei visitare solo con lei, anche non per lavoro! Non mi va di andare in giro soltanto per cantare. Dopo tanti anni, probabilmente c’è voluto l’arrivo di Paola per capire che a Laura di Solarolo mancano un po’ le cose normali. Mi manca anche il fatto che non mi si fili nessuno».
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