Maggie Gyllenhaal: “Elena Ferrante? Anonimato inscalfibile, da un dettaglio escludo che sia un uomo”. L’attrice nei panni di regista del film “The lost daughter” tratto dal libro “La figlia oscura” , in concorso a Venezia 78, parla dell’anonimato della scrittrice (o scrittore secondo alcuni) Elena Ferrante, in una intervista a ‘Tv Sorrisi e Canzoni’.
Maggie, ha mai incontrato Elena Ferrante?
«No, il suo anonimato è inscalfibile. Ci siamo scritte solo per mail».
Lo sa che secondo alcuni potrebbe essere un uomo?
«Non ci credo. Per me è impossibile. Il modo in cui il libro descrive l’essere donna ed essere madre… no, può averlo scritto solo una donna».
Come avete lavorato insieme?
«Le ho chiesto alcuni consigli, ma non l’ho sommersa di mail. Alla fine le ho fatto leggere la sceneggiatura ed ero un po’ preoccupata perché avevo cambiato diverse cose. Ma lei mi ha dato la sua benedizione».
Maggie Gyllenhaal: “Elena Ferrante? Anonimato inscalfibile”
Cosa ha cambiato?
«Innanzi tutto la protagonista del mio film è americana: non mi sentivo adatta a raccontare il punto di vista di una mamma italiana. Anche il finale è cambiato. E poi mi sono accorta che molte cose che in un libro funzionano, non lo fanno automaticamente in un film. La prima sceneggiatura era molto più fedele, ma ho capito che dovevo fare dei cambiamenti».
Come è stato dirigere le attrici del suo film, Olivia Colman e Dakota Johnson?
«Hanno uno stile molto diverso, con Dakota parlavo di più, con Olivia ci intendevamo più a sguardi e sensazioni che a parole. E poi le ho lasciate libere e ho lasciato tempo, perché io credo che se l’attore ha il tempo di innamorarsi del personaggio, poi darà il meglio di sé».
E perché non recita anche lei, nel suo film?
«Sarebbe stato troppo. Volevo concentrarmi sulla regia e ho scoperto che in fondo al cuore mi sento più regista che attrice. Certo, tornerò a recitare. Ma solo se la sceneggiatura mi convince al 100%. Perché il regista ha una libertà creativa totale, mentre l’attore deve adattarsi alla visione di qualcun altro. Quando studio una parte, mi dico sempre “Vorrei discutere dieci cambiamenti col regista, ma non posso tormentarlo così, quindi mi limiterò a due…”. Il regista invece fa quello che vuole!».
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