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Francesco Giorgino si racconta: “Io giornalista grazie a mia nonna. C’è un motivo per cui dico il tempo in diretta”

Francesco Giorgino si racconta: “Io giornalista grazie a mia nonna. C’è un motivo per cui dico il tempo in diretta”. Il giornalista pugliese ripercorre le tappe più significative della sua vita privata e professionale in una intervista a ‘Tv Sorrisi e Canzoni’. Ve ne proponiamo alcuni passaggi.

Come reggi la tensione della diretta senza un copione o una scaletta?
«Ci sono due tipologie di speciali: quelli che hanno un minimo di programmazione, finalizzati all’approfondimento. E altri, come quello sulla Nazionale, che vanno sull’onda del minuto. È un racconto che viene fatto per immagini».

Non è stressante andare a braccio?
«No, assolutamente. Non ho mai avuto grandi problemi davanti alle telecamere, né ansia né preoccupazione. Gestisco questi momenti con serenità, anche per carattere. Sono molto concentrato e preparato. Faccio attenzione ai vocaboli, tengo d’occhio ogni immagine proposta e presto attenzione ai dettagli».

Anche durante questa maratona (Nazionale agli europei ndr) avevi il “teller”, il piccolissimo auricolare nell’orecchio?
«C’è sempre, è uno strumento di comunicazione rapida tra me e la regia. Se salta un collegamento, te lo dicono attraverso questo auricolare. Un tempo c’era il telefono che suonava, rispondevi e stavi alcuni secondi in silenzio in diretta. Ora avviene tutto in tempo reale».

Altri “oggetti indispensabili”?
«Per il tg è fondamentale studiare tutti i temi relativi ai servizi che vengono lanciati. Approfondisco i fatti e leggo i servizi dei colleghi. L’altra cosa estremamente importante è consultare le agenzie per aggiornare di secondo in secondo i lanci. Abbiamo due monitor davanti: uno mostra quello che va in onda e l’altro le agenzie, appunto, che lanciano le ultime notizie».

Francesco Giorgino si racconta: “C’è un motivo per cui dico il tempo in diretta”

[…] Qualcosa che hai sempre con te?
«Se c’è un elemento del corpo che ha bisogno di scaricare la tensione, sono le mani. Impugno sempre una penna oppure tengo dei fogli: è un modo per non eccedere nella gestualità. Un’altra cosa che mi contraddistingue è dire l’ora, i minuti e secondi alla fine del tg. L’ho fatto un giorno perché mi piaceva sottolineare l’elemento della contemporaneità. Poi ho saputo che papa Ratzinger aveva notato questa cosa perché in Germania, quando era ragazzo, i conduttori facevano così. A quel punto ho deciso che lo avrei fatto per sempre».

A settembre saranno 30 anni che lavori al Tg1 e 21 che lo conduci. Che effetto fa?
«Porto il peso della responsabilità, sono consapevole di aver trascorso gran parte della mia vita in questi palazzi di Saxa Rubra, a Roma. Il Tg1 è una seconda famiglia. Ho cominciato a “Unomattina” nel 1991, che era la nave-scuola del Tg1, è stato un processo graduale a condurmi fino a qui».

Ti ricordi la tua prima volta davanti alle telecamere?
«A Telesveva, ad Andria, la mia città: avevo 19 anni, gli occhiali e la riga di lato. Ho cominciato a fare il giornalista a 18 anni a “Il quotidiano di Puglia” e un anno dopo mi chiamarono per collaborare con questa tv locale. Ho realizzato per un po’ dei servizi e poi sono passato alla conduzione».

Invece il debutto al Tg1?
«Nell’autunno del 2000, nell’edizione delle 13.30. La notte prima non ho dormito. La cosa più difficile all’esordio era dire i titoli dei servizi nei tempi giusti. Ho fatto prove su prove per tutta la notte. Ricordo che due giorni dopo il mio inizio fu trovato morto il figlio di Agnelli, Edoardo: fu la mia prima edizione straordinaria».

Hai mai perso il controllo?
«Non ho mai riso, salvo nei collegamenti con Fiorello. Con lui ti devi contenere, se no esci dal tuo ruolo. Invece ho pianto quando ho dovuto raccontare a braccio l’arrivo della salma della collega Maria Grazia Cutuli. Non la conoscevo, ma la sua storia mi colpì moltissimo. Ho fatto fatica a parlare. Mi sono immedesimato in lei, era giovane e voleva fare questo lavoro».

Francesco Giorgino si racconta: “Io giornalista grazie a mia nonna”

Anche tu da bambino sognavi di diventare un giornalista?
«Direi di sì. Alle scuole medie ho avuto una prof che ci mandava in giro per Andria a fare interviste con il registratore a tracolla e il microfono. E mi piacque. Poi siamo andati a visitare la redazione di “La Gazzetta del Mezzogiorno”, vidi le rotative e mi incuriosì. Al Classico feci un corso di giornalismo e cominciai ad acquisire dimestichezza con i termini tecnici. Poi è arrivata l’università.

La prima parte l’ho fatta a casa di mia nonna, costretta su una sedia a rotelle per un ictus. Per assisterla mi ero trasferito da lei. All’ingresso c’era una specchiera verticale e ricordo che mi guardava mentre davanti a quello specchio simulavo dei collegamenti in diretta. Fu lei a dire a mia mamma che avrei dovuto fare questo mestiere perché avevo una passione sfrenata».

Perché, i tuoi genitori volevano che facessi altro?
«Papà, avvocato e giurista allo stato puro, voleva che divenissi magistrato o al più avvocato, per questo mi sono laureato in Giurisprudenza. All’inizio era perplesso e anche mamma, che però era influenzata da nonna, che nel frattempo ci aveva lasciati. Poi sono stati felicissimi e orgogliosi. E sono sicuro che nonna da lassù mi guarda e vigila».

Di sera conduttore, di mattina professore. Alla Luiss di Roma insegni Comunicazione e marketing.
«Anche questo era un mio grande desiderio. Mi è sempre piaciuto il mondo universitario. Nel 2001 Mario Morcellini, all’epoca presidente dei corsi di laurea in Comunicazione alla Sapienza, mi sentì durante una conferenza e mi propose di collaborare, dopo poco tempo mi diede un incarico: titolare di Sociologia della comunicazione. Avevo 800 studenti. Facevamo lezione nei cinema. Lì è cominciato questo percorso e nel 2014 sono stato chiamato alla Luiss».

[…] Per le vacanze andrai in Puglia?
«Sì, ho una piccola casa affacciata sul porto di Trani e da lì mi muovo: mare, famiglia, tennis e gastronomia. Adoro il cibo pugliese e irrorarlo con l’olio extravergine d’oliva che lì è buonissimo».

L’8 agosto festeggerai 54 anni. Esprimi un desiderio…
«Continuare a fare quello che faccio, sono appagato e fortunato. Non ho altri sogni nel cassetto».

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