Luca Zingaretti: “Vita in carcere non è facile. Sul set de ‘Il Re’ ho capito soprattutto un aspetto”. L’attore ha da poco finito le riprese della nuova serie Sky ‘Il Re’, uno dei primi prison drama girato nelle ex carceri italiane e in una intervista a ‘Il Corriere della Sera’, racconta la sua esperienza nei penitenziari. Ve ne proponiamo alcuni passaggi.
Che effetto le ha fatto stare tanto tempo in ex carceri?
«Non è semplice spiegare cosa trasmettono questi posti, c’è un’energia particolare, trasudano le emozioni provate da chi li ha abitati. In questa serie ho avuto la fortuna di lavorare con attori ex carcerati: oltre ad aiutarci nell’essere verosimili, mi hanno raccontato come funziona la vita lì. Non ci rendiamo conto del livello di frustrazione psicologica a cui sono costrette le persone… e qui non c’entra il discorso del “se lo meritano”. C’è una dimensione del vissuto agghiacciante».
Il suo protagonista sulla carta sta con i buoni, ma poi si rivela capace di tutto…
«Noi esseri umani siamo animali feroci, ma non come lo può essere un leone, che uccide per territorialità o fame. Noi esercitiamo il potere in maniera sadica, non abbiamo limiti: raggiungiamo abissi come nessun’altra specie».
La cronaca recente ha mostrato l’ingiustizia che può esistere nei penitenziari…
«Sono luoghi in cui c’è chi ha un grande potere, per questo è difficile anche solo denunciare le deviazioni, quando esistono. Il carcere è uno spaccato della società sotto una lente di ingrandimento».
Luca Zingaretti: “Vita in carcere non è facile”
Per prepararsi ha parlato solo con ex detenuti?
«Anche con agenti penitenziari, gente che lavora sodo, in modo spesso disagevole per uno stipendio non così gratificante. Non è una vita facile».
[…] Persone mosse da ideali buoni possono trovarsi dalla parte opposta?
«Il fascino di questo personaggio è nel suo deragliare dalle giuste cause. Rispetto a una certa tv generalista, qui non volevamo costruire il cattivo tout court ma raccontare i chiaroscuri dell’agire umano. Farlo ha necessitato anni di gestazione, con aggiustamenti, ripensamenti… alla fine, grazie alla sintonia con il regista, Giuseppe Gagliardi, Bruno ha preso vita. Mi trovavo a dire: no, questa cosa non la farebbe mai, come quando conosci bene qualcuno. Se succede con un personaggio sei su una strada interessante».
Quale è il valore aggiunto di una serie come questa?
«Spero costringa a riflettere. Questi due anni di lavorazione mi hanno messo spesso in crisi, ponendomi molti dubbi. È stato uno straordinario arricchimento personale».
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