Muti: “Sono stanco di questa vita, preferisco morire. Vi dico cosa non voglio ai miei funerali”. Il direttore d’orchestra napoletano, 80 anni, sorprende tutti con le fortissime dichiarazioni in una intervista rilasciata ai microfoni de ‘Il Corriere della Sera’. Ve ne proponiamo alcuni passaggi.
Maestro Muti, qual è il suo primo ricordo?
«La guerra: mio padre in divisa da ufficiale medico. Poi, nel 1946, una gita in carrozza a Castel del Monte. Partimmo da Molfetta, viaggiammo tutta la notte. All’alba il cocchiere Nicola aprì la tendina, e apparve quella corona di pietra. Rimasi stupefatto. Da allora sono ossessionato da Federico II, ho la casa piena di libri su di lui. Ho anche comprato un pezzetto di terra lì vicino, con qualche piccolo trullo, che chiamano casedde, dove a maggio tra gli ulivi fioriscono le orchidee selvatiche. Spero di passare in contemplazione del castello questi ultimi anni che mi restano».
Lei ne compie ottanta tra un mese.
«E mi sono stancato della vita».
Perché dice questo?
«Perché è un mondo in cui non mi riconosco più. E siccome non posso pretendere che il mondo si adatti a me, preferisco togliermi di mezzo. Come nel Falstaff: “Tutto declina”».
Insisto: perché dice questo?
«Perché ho avuto la fortuna di crescere negli anni 50, di frequentare il liceo di Molfetta dove aveva studiato Salvemini, con professori non severi; severissimi. Ricordo un’interrogazione di latino alle medie. L’insegnante mi chiese: “Pluit aqua”; che caso è aqua? Anziché ablativo, risposi: nominativo. Mi afferrò per le orecchie e mi scosse come la corda di una campana. Grazie a quel professore, non ho più sbagliato una citazione in latino. Oggi lo arresterebbero».
Rimpiange le punizioni corporali?
«Certo che no. Rimpiango la serietà. Lo spirito con cui Federico II fece scolpire sulla porta di Capua, sotto il busto di Pier delle Vigne e di Taddeo da Sessa, il motto: “Intrent securi qui quaerunt vivere puri”; entrino sicuri coloro che intendono vivere onestamente. Questa è la politica dell’immigrazione e dell’integrazione che servirebbe».
Non riconosce più neanche il suo mestiere?
«Purtroppo no. La direzione d’orchestra è spesso diventata una professione di comodo. Sovente i giovani arrivano a dirigere senza studi lunghi e seri. Affrontano opere monumentali all’inizio dell’attività, basandosi sull’efficienza del gesto, talora della gesticolazione».
Muti: “Sono stanco di questa vita, preferisco morire”
Gesticolazione?
«Toscanini diceva che le braccia sono l’estensione della mente. Oggi molti direttori d’orchestra usano il podio per gesticolazioni eccessive, da show, cercando di colpire un pubblico più incline a ciò che vede e meno a ciò che sente».
Chi? Faccia i nomi.
«No».
I nomi.
«Non voglio polemiche personali: farei il gioco dei promotori di se stessi. Il mio maestro, Antonino Votto, diceva che il direttore doveva aver respirato la polvere del palcoscenico. Invece le orchestre, i cori, i cantanti lamentano una mancanza sempre più evidente di informazioni musicali e drammaturgiche da parte dei direttori. Non si fanno neppure più prove serie».
[…] Come vorrebbe i suoi funerali?
«Scherzosamente dico che lascerò l’indicazione di brani musicali da eseguire in chiesa attraverso incisioni, rigorosamente dirette da me».
Perché?
«Non perché le ritenga le migliori; voglio che si ricordino come dirigevo Mozart, Schubert, Brahms. Se non sono io, me ne accorgo subito, e c’è la probabilità che si apra la bara… (Muti sorride). C’è una cosa però su cui sono serissimo».
Quale?
«Ai miei funerali non voglio applausi. Sono cresciuto in un mondo in cui ai funerali c’era un silenzio terrificante. Ognuno era chiuso nel suo vero o falso dolore. Per i più abbienti c’era la banda che eseguiva lo Stabat Mater di Rossini o marce funebri molfettesi, famose in Puglia. I primi applausi li ricordo ai funerali di Totò e della Magnani, ma erano riconoscimenti alla loro capacità di interpretare l’anima di Napoli, di Roma, della nazione. Quando sarà il mio turno, vorrei che ci fosse il silenzio assoluto. Se qualcuno applaude, giuro che torno a disturbarlo di notte, nei momenti più intimi».
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