Rose Byrne si racconta: “Attrice grazie ad una vincita ai cavalli. Sono pentita di aver detto quella frase famosa”. L’attrice australiana ripercorre le tappe più significative della sua vita privata e professionale in una intervista a ‘Io Donna’. Ve ne proponiamo alcuni passaggi.
Fa questo mestiere da molto tempo ed è arrivata giovanissima in California dove lo standard della forma fisica è praticamente inarrivabile: come ci ha fatto i conti nel tempo?
“Il vantaggio di avere dei bambini è che non hai tempo per preoccuparti di quello che vedi nello specchio la mattina. Per me è stata una benedizione perché da attrice sei per lavoro esposta allo sguardo altrui. E ti arrivano pareri non richiesti di ogni tipo: tu sei così, no così. Dovresti cambiare questo, no quello. Mi metteva a disagio all’inizio, ora non più”.
Viene da una famiglia numerosa. Negli anni Ottanta era piccola. Che ricordi ha di quel periodo?
“Sono nata in una famiglia amorevole, la più piccola di 4 bambini selvaggi. Ho scoperto la recitazione presto e sono cresciuta lavorando. Mia madre ha sempre detto che è stata la più grande fortuna della mia vita perché da piccola ero timida, una bambina angosciata. Recitare mi ha aiutato”.
Com’è stata la sua adolescenza?
“L’Australia è un posto tranquillo, è raro che succeda qualcosa di stravagante qui, siamo tipi che fanno due passi avanti e uno indietro. Ma proprio in quel periodo, sarà stato l’87 o l’88, mio padre, che gioca ai cavalli, vinse parecchio e la sua reazione fu: «Andiamo in Europa». È un uomo impulsivo nell’accezione migliore. Vide in quel viaggio l’opportunità di un’esperienza per noi ragazzi. E fu così. Lì cominciai a scoprire il mondo”.
Rose Byrne si racconta: “Unacitazione mi è rimasta appiccicata, ma è così fuori luogo”
E quale fu l’impatto con l’America?
“Los Angeles è un luogo incredibile, geograficamente e spiritualmente. Ed è pieno di risorse: se penso che abbiamo girato Physical proprio al picco della pandemia! È stato magnifico vedere gente che aveva perso il lavoro tornare finalmente su un set reso sicuro. Da giovane attrice però non è stato uno scherzo ambientarsi. New York è casa ora: amo molto questa città, mio marito e i miei figli sono nati qui. Brooklyn è perfetta per vivere con i ragazzi. E c’è una scena teatrale viva, io e Bobby amiamo molto il teatro”.
[…] Nella ricerca che ogni attore fa del proprio posto lei, dopo ruoli drammatici e un bacio a Brad Pitt (in Troy) ha trovato la dimensione perfetta nella commedia. Come è andata?
“Amo i comici. E le donne che fanno commedia. Le persone divertenti sono spesso tormentate e dark. Talvolta complicate e strane. Se io rientro in questa categoria non saprei, forse. Ma culturalmente noi australiani tendiamo a non prendere la vita e noi stessi troppo sul serio. Se lo facciamo c’è sempre qualcuno che ci ricorda che è meglio lasciar perdere”.
[…] Jane Fonda con l’aerobica finanziava la lotta politica di suo marito Tom Hayden, uno dei Chicago 7. C’era un dietro le quinte anche nella frivola scena dell’aerobica.
“E c’erano grandi donne dietro a uomini grandi e meno grandi. Ho riflettuto spesso sui veri geni strategici di alcune parabole maschili: Hillary Clinton, Eleanor Roosevelt, Catherine Martin (moglie e production designer di Baz Luhrmann, il regista di Romeo+Juliet, Il grande Gatsby, Moulin Rouge, ndr). Questa piccola storia cui ho contribuito fa parte di quel racconto infinito”.
[…] Una volta di sé diceva: «Sono quella che chiamano se Scarlett o Keira rifiutano un ruolo». Lo pensa ancora?
“Quella citazione mi è rimasta appiccicata, ma è così fuori luogo. Mi spiace di averla detta. Non bisognerebbe mai farsi intervistare quando si è giovani e inesperte. Se potessi parlare alla versione giovane di me le direi: «Ma sta’ zitta, va avanti a testa bassa e lavora. Tutto il resto non conta»”.
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