Neri Parenti, il padre tra gli artefici del Piano Marshall, il cinepanettone e non solo: l’intervista a ‘TV Sorrisi e Canzoni’
Neri Parenti: “Mio padre tra gli artefici del Piano Marshall. Così è nato il cinepanettone. Su De Laurentiis…”. Il regista si racconta in una intervista a ‘TV Sorrisi e Canzoni’. Ve ne proponiamo alcuni passaggi.
Suo padre era il noto economista Giuseppe Parenti, che è stato Rettore dell’Università di Firenze. Impegnativo.
«Eccome! Fra le tante cose, è stato uno degli artefici del Piano Marshall e ha fatto il censimento in Cina. Ha avuto un po’ a che fare anche con lo spettacolo partecipando alla creazione del Servizio opinioni, il precursore dell’Auditel. Un personaggio importante, sempre in giro per il mondo. Io e i miei fratelli davamo ai cagnolini nati in sua assenza i nomi dei ministri dei posti in cui si trovava in quel momento. Non mi stupisce che nessuno di noi abbia seguito le sue orme».
Come ci è finito sui set?
«Volevo fare il critico. Nel 1971, grazie a un contratto di apprendistato come giornalista alla Rai, sono capitato su un set di Giuseppe Patroni Griffi, “Addio fratello crudele”. Era il primo film che la Rai coproduceva e il mio compito era di fare una specie di report settimanale. Gli attori erano quasi tutti stranieri e il mio inglese si rivelò prezioso: l’organizzatore capì che era utile questo ragazzetto che poteva parlare con gli attori e farsi capire, o scrivere una lettera in maniera corretta. E così mi prese come assistente di produzione».
Partenza dalle retrovie.
«Ho visto come funzionava. Guardavo e imparavo. Ho lavorato con tanti registi, soprattutto con Pasquale Festa Campanile. Gli facevo pure da autista e a un certo punto, sul set di “Conviene far bene l’amore”, mi ha promosso aiuto regista. Io del film sapevo tutto, è stato un passaggio semplice. Inoltre mio padre, che considerava questo mestiere una buffonata, vedendomi alzare alle 4 e tornare tardi, ha capito che il mio era un vero lavoro».
Neri Parenti: “Mio padre tra gli artefici del Piano Marshall”
[…] Villaggio era uno ostico.
«Più nella vita che nella professione. Ci ho fatto 18 film, mai una discussione, mai uno screzio. Siamo andati d’amore e d’accordo, forse perché in 15 anni saremo stati a cena tre volte. C’era una forte differenza d’età, eravamo due mondi che s’incontravano e si completavano solo sul lavoro. Lui era un po’ discolo, spariva. E non gli andavano mai bene le sceneggiature. Allora cambiavamo la prima pagina e lui: “Ah, ora sì che è perfetta!”».
Parliamo dei cinepanettoni.
«Nel 2001 mi chiamò De Laurentiis, che aveva fatto tutti i film di Natale con i Vanzina: loro si erano messi in proprio e avevano ridotto l’impegno. Poi Aurelio e i Vanzina si sono separati del tutto e io invece sono rimasto. Era una gabbia dorata: i film andavano bene, i guadagni erano enormi, quindi ho continuato a farli».
Aurelio, altro personaggio complicato.
«Ma anche spassoso. Ricordo che giravamo al tempo in cui aveva da poco acquistato il Napoli e in albergo, a Gstaad, visionava i possibili allenatori. Sbagliava tutti i nomi: c’era questo Vavassori che lui chiamava sempre Valvassori. Non so adesso ma di calcio, allora, capiva poco. Mi parlava degli acquisti e io gli chiedevo: “In che ruolo gioca?”. E lui: “10”. “Sì, ma in che ruolo?”».
I suoi film sono stati accusati di esseri volgari.
«È vero, lo sono. Pensavamo che fossero destinati a una fascia di pubblico poco disturbata dalla parolaccia o dallo sconcio. Inoltre, capitava che andavi a vedere i film e ti accorgevi che la cosa che faceva crollare la sala era proprio quella. Allora nel successivo si rincarava la dose. A volte s’è proprio esagerato…».
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