Carlo Verdone su De Niro, De Laurentiis e non solo, l’intervista a ‘Il Corriere della Sera’
Verdone: “De Niro chiese il triplo a De Laurentiis e persi un’occasione. Io ipocondriaco? Mi arrabbio quando me lo dicono”. L’attore romano rivela alcuni interessanti retroscena della sua carriera in una intervista a ‘Il Corriere della Sera’. Ve ne proponiamo alcuni passaggi.
Chi è stato il primo a credere in lei, a parte Sergio Leone?
«Umberto Smaila. Era un ragazzo spiritoso che tirava su il morale a tutti, non sentiva invidie o gelosie. Fu il mio antidepressivo a Torino (all’epoca grigia e un po’ cadente), dove facevamo Non Stop, il programma Rai che mi lanciò. Poco dopo a Siena debuttai a teatro, Umberto era in sala e non lo sapevo. Mi disse: ho visto un grande attore. L’abbracciai. Avevo trent’anni».
[…] Lei ha lavorato col suo mito, De Niro.
«In Manuale d’amore 3, un’occasione sprecata. Fu una scena sciocca, avrei voluto ampliarla ma gli attori sono nelle mani dei loro agenti e quando comunicarono che si sarebbe triplicato il compenso De Laurentiis disse che non se ne faceva nulla».
Verdone: “De Niro il mio mito, peccato per quell’occasione sprecata”
Si arrabbia quando le danno dell’ipocondriaco, ma non l’ha alimentata lei questa «diceria» con le scene dei suoi film?
«Sì, ma in Maledetto il giorno che t’ho incontrato racconto la fragilità degli Anni 90, quando andava di moda lo psicoanalista, disagio tipico della società occidentale. Lo vedi un africano che va dallo sciamano? Ma quello deve trova’ il pane, l’acqua, e se è in crisi con la sua donna ne trova un’altra».
Da dove nasce la sua comicità?
«Da un misto di timidezza e euforia, quando l’inadeguatezza si trasforma in adrenalina, e ti vengono fuori una concentrazione e una forza pazzesche. Ho sofferto tanto di timidezza, ero convinto di non avere tutto questo talento, mi sentivo fuori posto, poi ho capito che funzionavo col pubblico. Ma la paura è rimasta, non è che comincio un lavoro e via. La notte prima non dormo»..
[…] Qual è un luogo che l’ha ispirata?
«Le bische. Erano luoghi tipici degli Anni 60 e 70, i flipper, i biliardi, erano un teatro dell’umanità, vi trovavi chiunque, il malandrino, quello che aveva soltanto il vizio del gioco… Io ero un borghese curioso di tutto. In quel minestrone riuscivi a selezionare l’apparato umano, è lì che mi sono allenato per i miei personaggi eccessivi. Oggi sono tutti uguali, vai in un locale fuori dal raccordo anulare tipo Las Vegas, vedi gente silenziosa e ti chiedi: ma chi sono questi? Tutti con il Rolex, vero o finto».
Ha un ricordo meno conosciuto di Alberto Sordi?
«Era una persona buona, quando entrava a casa era l’esatto contrario di come appariva, geloso del suo ordine maniacale e della sua privacy. Le serrande erano per tre quarti abbassate, diceva per non far prendere luce ai quadri ma era come il suo ponte levatoio alzato, a casa voleva sentire soltanto il silenzio. Alla proiezione di In viaggio con papà mi ero preparato ai tagli, invece si tagliò lui. Le cose belle bisogna lasciarle, mi disse».
Verdone: “De Niro chiese il triplo a De Laurentiis e persi un’occasione”
[…] Il nuovo presidente del Consiglio Mario Draghi nei suoi primi discorsi ha citato la parola cultura.
«Abbiamo un leader serio, importante, che ha studiato veramente. I dissidenti dei 5 Stelle? Persone perbene e inadeguate, ma non voglio giudicare. A Conte non puoi dirgli nulla, anzi troppo aveva fatto, un avvocato e professore che non aveva mai fatto politica e deve gestire una situazione catastrofica…».
Il film della sua vita qual è?
«La dolce vita. Fellini non è solo un grande regista, è stato un grande psicologo delle fragilità, un controllore della temperatura che c’era in Italia. Si voltava pagina. E poi Fellini non ha mai rappresentato la cattiveria, semmai i perfidi li ridicolizzava. Cercava la poesia ovunque».
Lei ha incontrato il Papa.
«Gli ho mandato il libro con una dedica, ho impiegato un bel po’ a scriverla. Un uomo veramente notevole, sa ascoltare, nella sua semplicità e umiltà arriva a profondità spaventose. Sembra una brava persona incontrata al bar, piano piano eleva gli argomenti a livelli altissimi e resti come ipnotizzato».
[…] Lei crede nei ricordi, ma questo è un Paese senza memoria.
«Il libro è l’esercizio di una persona che ridà vita a cose che sembrerebbero morte. Invece messe su carta stampata… Il passato è vita, l’unica certezza che abbiamo. Il presente è la pandemia, il futuro è nebuloso. L’unico conforto è nella nostalgia, che non è una resa. Il libro è come andare in una sala di proiezione del tempo e farti accarezzare l’anima».
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