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Renato Pozzetto: “Mia moglie? Ancora non riesco a parlarne, mi addolora un aspetto. Non ho pianto per davvero”

Renato Pozzetto, la moglie morta, il nuovo film, e non solo, l’intervista a ‘Il Corriere della Sera’

Renato Pozzetto: “Mia moglie? Ancora non riesco a parlarne, mi addolora un aspetto. Non ho pianto per davvero”. L’attore per la prima volta interpreta un ruolo drammatico. Pupi Avati l’ha voluto nel film prodotto da Sky «Lei mi parla ancora». Ne parla in una intervista rilasciata a ‘Il Corriere della Sera’. Ve ne proponiamo alcuni passaggi.

Pozzetto, perché solo adesso un film drammatico?
«La mia natura era diversa. Avevo iniziato con Cochi nel dopoguerra, per essere contenti noi e far felici gli amici. Da lì, il cabaret, dove abbiamo conosciuto i nostri divi: Enzo Jannacci, Dario Fo, Giorgio Gaber. Ci esibivamo al Cab64 con Lino Toffolo e loro passavano a trovarci. Poi, Jannacci ci ha proposto di andare al Derby, è arrivato Felice Andreasi… Tutto questo per dire che noi il drammatico non l’abbiamo mai sfiorato neanche come interesse. Invece, leggendo il copione di Pupi, mi sono commosso tanto, più di una volta».

Che cosa l’ha commossa?
«La storia. Il momento in cui la moglie, Stefania Sandrelli, va all’ospedale e io che sono il marito capisco che non tornerà più».

Questa è anche un po’ la sua storia. Anche lei è stato con sua moglie Brunella per tutta la vita e l’ha persa.
«Che c’entra? Sono un attore, non è che se devo fare Tarzan vado nella foresta e faccio la scimmia e volo da un albero all’altro. Non è che ho girato Il ragazzo di campagna e, prima, ho mai fatto il contadino. E poi: qual è la famiglia o la vita in cui uno non ha avuto quei momenti?».

Sbaglio o ancora le è difficile parlare di lei?
«È vero, preferisco di no. Questa stanza è piena delle foto mie e sue: lì avevo appena iniziato a fare cinema; lì siamo con una coppia di amici… Quella è Brunella con Francesca bambina. Ne è piena la casa di foto così».

Avati, sul magazine 7, ha detto che quando avete parlato la prima volta del film, lei ha pianto perché si è immedesimato.
«Io? Ha detto così? Le spiego io come è andata: un giorno, mi telefona e mi dice che vuole farmi protagonista di un film che ama tanto. Dico: fammelo leggere. Arriva il copione, resto affascinato dalla storia, dal modo di raccontare. La mattina dopo, Pupi arriva precipitosamente da Roma a Milano. Faccio preparare un piatto di spaghetti, ci raccontiamo il film. Io ero sicuro di fare bene la parte. Gliel’ho detto fuori dai denti. Il copione mi aveva smosso qualcosa, sentivo di potermela giocare in modo onesto. Quindici giorni dopo, eravamo sul set. Forse, lo ha affascinato la mia sicurezza».

La sicurezza, non il pianto?
«Macché pianto… Il pianto è un mio trucco, ma non deve scriverlo».

Intanto, me lo spieghi.
«Io piango quando voglio convincere qualcuno a fare quello che voglio».

Cioè la sua era una prova d’attore per convincere il regista?
«È una tecnica che ho collaudato quando non riuscivo a spiegarmi con l’architetto che mi stava facendo la casa di Roma».

[…] Nel film, Nino ancora parla con la moglie morta. E lei?
«Non le parlo e, soprattutto, non la sogno. Non sognarla mi addolora molto. Era mia moglie, vorrei rivederla. Era simpatica, spiritosa. È stata paziente col mio lavoro quando stavo lontano a girare».

Oggi, è ancora possibile l’amore per sempre?
«Devi essere innamorato. Se due lo sono e si augurano l’amore oltre la morte, non è che si sposano e dopo due mesi si sono stufati».

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