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Kristian Ghedina: “Gianluca Vacchi batteva me e Tomba, per fortuna ha smesso. Mia mamma morta sugli sci, quel giorno ebbi un presentimento”

Kristian Ghedina su Gianluca Vacchi e non solo: l’intervista a ‘Il Corriere della Sera’

Kristian Ghedina: “Gianluca Vacchi batteva me e Tomba, per fortuna ha smesso. Mia mamma morta sugli sci, quel giorno ebbi un presentimento”. L’ex campione di sci si racconta in una intervista rilasciata a ‘Il Corriere della Sera’. Ve ne proponiamo alcuni passaggi.

Kristian, lei non ha mai avuto paura?
«La paura l’ho sempre cercata. Da bambino guardavo Tarzan, poi salivo sugli abeti di fronte a casa, alti dieci metri, e mi lasciavo cadere di ramo in ramo. A 14 anni, siccome papà non mi comprava la moto, me la sono costruita saldando pezzi trovati nella discarica, e l’ho collaudata scendendo nella pista olimpica del bob: facevo gara con un amico a chi prendeva le curve paraboliche più in alto; se cadevi, eri morto. Sul bob, quello vero, andavo invece nei boschi: sono finito contro un albero, e mi sono rotto il naso per la prima volta».

Lei è stato il più grande discesista italiano, il primo a vincere la Streif di Kitzbuhel. Ma ama lo sci o la velocità?
«Amo il rischio. In moto. In macchina. E ovviamente in montagna».

A Wengen fece il record della pista, che ancora resiste, e superò i 156 all’ora. Poi al traguardo franò addosso alle recinzioni, in mezzo al pubblico.
«Lì mi ruppi la prima vertebra, ma lo scoprii anni dopo. Rifiutai di fare le radiografie, nel timore che mi fermassero. Provai anche il chilometro lanciato, ho raggiunto i 218 chilometri all’ora, ma mi sono annoiato» perché era «tutto dritto. Nessun pericolo».

A 20 anni lei era già sul podio di Coppa del Mondo.
«Terzo in Val Gardena. Secondo a Schladming. Esordio a Kitzbuhel: si parte praticamente in verticale, tant’è ripido; curva a destra, curva a sinistra, salto della Mausefalle che vuol dire trappola per topi, compressione, tornante a sinistra, tornante a destra, con pendenza del 75% per cui se lasci correre finisci contro le reti, se spigoli troppo perdi velocità per il piano… finalmente la diagonale, vedo già il traguardo, però mi si stacca uno sci. Finisco piedi in avanti contro il cavo d’acciaio del telone: due costole rotte, commozione cerebrale. Mi chiedevo: dove sono?».

Kristian Ghedina: “Gianluca Vacchi? Per fortuna ha smesso di sciare”

Due settimane dopo vinse la prima gara di Coppa, qui a Cortina.
«La seconda emozione più grande della mia vita. Venne tutto il paese sotto casa, c’era ancora il nonno, mi affacciai sul poggiolo, pareva il carnevale di Rio, mi portarono in trionfo su una Porsche decappottabile. Dissi a papà che ne volevo una pure io».

E lui?
«Rispose che mi sarei schiantato. Erwin Stricker, il matto della valanga azzurra, assentì: “Kristian non si farà mai davvero male con gli sci, è troppo bravo. Ma siccome anche lui è matto, si farà male in macchina”. Alla fine trovammo un compromesso: niente Porsche, niente Uno turbo che era il mio sogno, ma una Passat bella pesante».

Con cui si schiantò l’anno dopo, in autostrada.
«Non si è mai capito come. Forse scoppiò una gomma, forse un colpo di sonno. Mi ruppi la scatola cranica, uno zigomo, i polsi, la clavicola, la scapola, altre due costole, e il naso. Gli sci che portavo in macchina mi mozzarono un pezzo d’orecchio».

Lei finì in coma.
«Prima sembrava che dovessi morire, poi che non potessi più sciare, quindi che non potessi più gareggiare. Provai a rimettermi in bicicletta; caddi subito. L’inverno dopo ero di nuovo in pista».

[…] Sua mamma morì sciando.
«È stata la prima maestra di sci a Cortina. Andavamo spesso a fare i fuoripista sul monte Cristallo, ma quel mattino dell’aprile 1985 ebbi un presentimento. Preferii restare a casa. Mamma era davanti, con papà che le diceva di andare piano. Incrociò le punte degli sci, precipitò per 600 metri. La trovarono che era ancora cosciente, mormorò: “Ma si può morire così?”. Papà si precipitò a valle per chiamare i soccorsi, ma non volevano mandare l’elicottero. Si spense a mezzanotte, sotto i ferri. Oggi quel fuoripista porta il suo nome: canalino Adriana».

Kristian Ghedina: “Gianluca Vacchi batteva me e tomba. Mia mamma morta sugli sci quando avevo 15 anni”

Lei aveva 15 anni.
«Mia sorella più grande, Katia, smise di sciare. Era più forte di me, già convocata in Nazionale. Ora gestisce il negozio di famiglia: lampadari. Io invece mi sbloccai. Avevo una gara la domenica dopo, la famiglia voleva ritirarmi; io pensai che la mamma avrebbe voluto che partecipassi, e vincessi. Vinsi. Prima andavo piano. Cominciai a correre. Come se avessi assorbito la sua fiducia, la sua forza. Come se lei in qualche modo mi accompagnasse, su ogni pista, in tutta la mia carriera. Papà invece era terrorizzato. Mi amava moltissimo ma non guardava mai le mie gare in tv, per paura che mi facessi male».

Dopo la morte della mamma, suo padre la mandò in collegio.
«A Lienz, in Austria. Lui non aveva potuto studiare, mio nonno a undici anni l’aveva voluto al lavoro con sé, nel suo panificio. Adorava leggere; io invece non ho mai aperto un libro, aspettavo la campanella per andare a sciare, giocare a hockey, correre nel bosco. Ero stato bocciato cinque volte. Il collegio mi ha fatto bene, ho anche imparato il tedesco. Così potevo parlare con il mio idolo Pirmin Zurbriggen».

[…] Che rapporto ha con Alberto Tomba?
«Ci conosciamo da bambini. La famiglia di Alberto ha una casa a Cortina, lui era il fidanzatino di mia sorella. Gareggiavamo insieme, ma venivamo regolarmente battuti da Gianluca Vacchi».

Quello dei balletti sui social?
«Lui. Per nostra fortuna smise di sciare. Alberto Tomba è una persona buonissima. Purtroppo non ha mai accettato il calo di popolarità, lo fa soffrire non essere più riconosciuto per strada dai giovani».

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