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Christiane Filangieri si racconta: “Sono cresciuta tra le favelas brasiliane e un castello”

Christiane Filangieri si racconta in una intervista rilasciata a ‘Vanity Fair’

Christiane Filangieri si racconta: “Sono cresciuta tra le favelas brasiliane e un castello”. L’attrice ripercorre alcune tappe della sua vita privata e professionale in una intervista rilasciata a ‘Vanity Fair’. Ve ne proponiamo alcuni passaggi.

[…] alcune donne della sua generazione appaiono facilmente scaldabili, specialmente sui social. E consorti e fidanzati, a cui si chiede di comportarsi sempre da galantuomini, non sempre gradiscono.
«Guardi, per farle capire come la penso, le dico solo che i miei modelli femminili sono Grace Kelly e Audrey Hep­burn. Non amo la donna sfacciata, magari volgare, che si incattivisce sul lavoro per affermarsi. Non amo le donne che si prendono un uomo senza pensare alle conseguenze o alla situazione familiare in cui si trova, o quelle che cominciano una storia avendo pronte una pletora di opzioni di riserva in panchina, in caso le cose andassero male. Con le amiche, in fatto di sentimenti, mi trovo spesso a far la parte del grillo parlante».

E loro?
«Dicono che sono una vecchia rompiballe».

E lei?
«Insisto. Quando ho compiuto quarant’anni ho giurato a me stessa che avrei detto sempre la verità».

Irene, il suo personaggio, appare agli occhi di tutti invincibile. Lei, se è il caso, è capace di crollare senza pudore?
«Ma sì, assolutamente, evviva la vita. Essendo una persona riservata però mi concedo il crollo davanti a poche persone: mia madre, mia sorella e mio marito. Sono loro il mio porto sicuro».

[…] La tavola è il suo tutto, quindi.
«Pensi che un collega una volta ha detto: se incontrate la Filangieri scappate, perché appena vede carne, quella azzanna. Mi piace la cucina casalinga e impazzisco per i cestini che danno sul set, che tutti invece schifano. Amo aprire le scatolette e trovarci dentro la pasta scotta, le cose fredde. È capitato pure che andassi a trovare amiche in ospedale e portassi loro la cena da fuori, per potermi finire al posto loro il riso bianco e il purè offerti dall’ospedale. Mi ricorda gli anni di bambina, in Brasile, quando mangiavo la feijoada nelle favelas».

Christiane Filangieri si racconta: “Sono cresciuta tra le favelas brasiliane e un castello”

Che c’entra lei, di famiglia nobile, con le favelas?
«Mio padre si occupava di import-export e vivevamo a Embu das Artes, vicino a San Paolo. I nostri caseros, i custodi, vivevano nella favela, e io ho passato l’infanzia a giocare coi loro figli. Facevamo le polpette con la fanghiglia e giocavamo con gli aquiloni: io e mia sorella, biondissime, insieme a loro tre, parevamo usciti da una foto di Oliviero Toscani».

Nel paese dove ha raggiunto la maggiore età, San Potito Sannitico, avevate una casa o un castello?
«Un antico possedimento di famiglia, Palazzo Filangieri, ereditato da mio padre. Gli abitanti del paese credevano che lì dentro stessi vestita come una principessa, tra drappi e specchi, e invece c’erano così tanti spifferi che dovevo studiare con due maglioni addosso, i calzettoni e il cappello di lana. Per poterci riscaldare, molte stanze restavano chiuse per tutto l’inverno».

E lei sognava o aveva paura?
«Quando venivano a dormire le amiche il nostro gioco preferito era correre da una stanza all’altra a luci spente, specialmente d’estate, quando nei corridoi potevi imbatterti nei pipistrelli. Poi allestivamo la nostra capanna in giardino, nella voliera vuota degli uccelli, e usavamo le candele per cuocere il cibo rubato dalla dispensa. La mia vita è stata questa: niente discoteca, niente struscio in piazza, solo fantasia. Con addosso il nome che mi avevano affibbiato le donne del paese: Cristianella».

E ora, i corridoi di Palazzo Filangieri sono abbandonati?
«Papà non c’è più e ci vive ancora mia madre, che continua a disegnare le sue icone russe su vetro. Interpretando i compositori tedeschi col pianoforte a coda in salone. Quando le domando per chi suoni, da sola in quelle stanze gelate, mi risponde sempre allo stesso modo: lo faccio per i nostri fantasmi» (foto).

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