Gianmarco Bellini, il pilota sequestrato dall’esercito iracheno, parla di quella esperienza a ‘La Repubblica’
Gianmarco Bellini, il pilota rapito in Iraq: “Credevo di essere un superuomo, poi la prigionia. Un aspetto non riesco a dimenticare“. Il pilota di Tornado la notte tra il 17 e il 18 gennaio 1991, venne sequestrato dall’esercito iracheno dopo che il suo velivolo fu abbattuto dalla contraerea durante un bombardamento, parla di quella terribile esperienza in una intervista a ‘La Repubblica’. Ve ne proponiamo alcuni passaggi.
«Credevo di essere un superuomo ma la prigionia mi ha fatto sentire così piccolo, senza alcun potere. Se c’ è qualcosa che ho imparato dopo quei 47 giorni, è proprio l’ importanza dell’ umiltà».
Gianmarco Bellini, cosa ricorda di quella notte?
«Ricordo ancora tutto. Partimmo alle 2. La nostra era una missione a bassa quota, avevamo come target un deposito di munizioni in Kuwait, al confine con l’ Iraq. Il meteo era pessimo, fui l’ unico a riuscire a fare rifornimento in volo. Purtroppo gli iracheni avevano riempito la costa di contraerea.
Ci beccarono in pieno sul piano di coda del Tornado, che divenne incontrollabile. L’ aereo fece un primo tonneau, una rotazione sull’ asse longitudinale. Rischiavamo di schiantarci ma, durante la seconda rotazione, riuscimmo a tirare la leva di espulsione. Eravamo a soli 30 metri da terra».
Poi cosa successe?
«Questo è l’ unico blackout, non ricordo nulla dopo quell’ atterraggio con il paracadute: ho cancellato tutto, la mia memoria riprende dai due giorni successivi. So che ci hanno presi subito, spogliati e portati a Baghdad. Lì siamo rimasti per 47 giorni, in diverse prigioni: all’ inizio in un campo militare, dove ci hanno interrogato con metodi pesantissimi. Io avevo 32 anni, Maurizio 29» .
Non avevate messo in conto che sarebbe potuto accadere?
«Non ci pensavamo minimamente. Io volavo dal ’77, nell’ 85 mi avevano promosso nei Tornado. Ero un pilota da combattimento all’ apice della carriera».
È cambiato per quell’ esperienza?
«Radicalmente. Quando ci si avvicina alla morte si cambia. Ho capito di essere stato protetto, ho sentito una mano più forte di quella umana. Vicino a me c’ era un’ entità superiore. Non era il mio momento. Ancora ringrazio Dio per questo».
Dopo la liberazione cos’ ha fatto?
«Ci liberarono il 3 marzo, in aprile già volavo di nuovo. A maggio 1991 ho iniziato a fare l’ istruttore, Maurizio ha continuato con le missioni, anche in Afghanistan. Sono stato in servizio fino al 2011, poi mi sono congedato».
Ha metabolizzato quel trauma?
«Sì. L’ unica cosa che mi tocca è quando vedo prigionieri di altre guerre. E ripenso sempre a noi».
Sente ancora Cocciolone?
«Ci siamo sentiti un paio di volte ultimamente. Lui, aquilano, vive in Brasile ora».
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