Beppe Fiorello e i 20 anni: l’intervista a ‘Il Corriere della Sera’
Beppe Fiorello: “A 20 anni il mondo mi è crollato addosso. Un incontro mi ha cambiato la vita”. L’attore siciliano racconta i momenti difficile del passato in una intervista a ‘Il Corriere della Sera’. Ve ne proponiamo alcuni passaggi.
[…] porta su Rai1 «Penso che un sogno così». Nello spettacolo racconta la sua infanzia: che bambino era?
«Un bambino chiuso, timido e introverso, cresciuto a pane e Modugno. Mi piaceva l’idea di questo gioco di specchi: un padre cresce un figlio con il mito di un cantante, quel figlio diventa un attore che interpreterà proprio quel cantante. Mi sono detto che non potevo non raccontare questo incrocio del destino».
Lo spettacolo è soprattutto un omaggio a suo padre che morì quando lei aveva 20 anni…
«Era un padre molto semplice, simpatico, anche se la simpatia spesso viene letta come una dote leggera. Mi colpiva la sua positività, la sua visione della vita: era un possibilista, tutto per lui era possibile, fattibile; sognava molto, per noi e per lui. Non solo cantava le canzoni di Modugno, ma gli assomigliava anche fisicamente. Certo lo stile degli uomini di quel tempo era molto diverso da oggi. I nostri padri erano sempre in giacca e camicia, poi era appuntato della Guardia di Finanza e aveva un obbligo in più a un’immagine composta e pulita. Non l’ho mai visto in tuta, oggi quando io esco con mio figlio sembriamo fratelli…».
[…] Come sono i suoi fratelli?
«Di Rosario chiunque avrebbe avuto l’idea chiara di cosa avrebbe fatto, appena nato tutti dicevano: questo bambino mettiamolo subito in televisione… Lui e mio padre tenevano alta l’asticella dell’umore in famiglia. Io e mia sorella Anna eravamo più pacati, Rosario e Catena invece sono sempre stati più aperti e disinibiti. Eravamo una famiglia dall’umore sempre bello, con i naturali alti e bassi che capitano a tutti. E poi c’era il contorno della famiglia allargata di parenti. La tavola. La tavola era il luogo dove ci si incontrava. Ore e ore a mangiare, ridere, parlare, cantare».
[…] L’attore non è per sua natura esibizionista? Cosa le fece scattare la molla per salire su un palco?
«Per paradosso penso che sia stata proprio la scomparsa di mio padre ad aiutarmi. Avevo 20 anni, ero un ragazzo non ancora diventato uomo. Ero al crocevia delle decisioni, nello svincolo della vita. Dove vado? Mio padre mi aiuterà, pensavo. Il mondo mi crollò addosso. Certo mia madre è stata fondamentale, ma il papà è una figura importante nella vita di un ragazzo. La sua morte mi costrinse a crescere più velocemente e a mettere in ombra la parte chiusa e bloccata di me. Cominciai a muovermi, incuriosirmi, viaggiare, capirmi, incontrare persone. Mi sentivo un tronco d’albero che scorre in un fiume rapido e veloce, attaccandomi alle cose e alle persone che incontravo».
Il tronco — l’incontro — che le ha cambiato la vita?
«In un bar di Riccione incontrai Niccolò Ammaniti, era un giovane scrittore poco noto, della corrente dei Cannibali, mi disse di andare a Roma a fare un provino per un film di Marco Risi tratto da un suo racconto. Arrivato a Roma ci sono rimasto».
Quando ha capito che voleva fare l’attore?
«Non avevo il sogno di fare l’attore. Con il tempo ho capito chiaramente che mi piaceva l’idea di raccontare storie, dovevo capire in che forma, ma quella era la mia vocazione. E il destino va sempre incontro alla vocazione, ognuno di noi ne ha una che prima o poi verrà fuori. Non è un caso che il 90% delle mie storie per il cinema e la tv siano storie vere: ho un’attrazione dettata dalla curiosità di crescere attraverso le storie degli altri».
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