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Spettacolo

George Clooney: “In Italia ho visto una scena che mi ha insegnato a vivere”

George Clooney, l’Italia, gli esordi e non solo, l’intervista a ‘Vanity Fair’

George Clooney: “In Italia ho visto una scena che mi ha insegnato a vivere”. L’attore e regista statunitense si racconta in una intervista rilasciata ai microfoni di ‘Vanity Fair’. Ve ne proponiamo alcuni passaggi.

Partiamo da Caoilinn Springall, la bambina magnifica che recita con lei in The Midnight Sky.
«È davvero straordinaria. Credo sia capitato al massimo in tre casi di girare più di una volta una scena che la riguardava. Se le chiedevo di fare una faccia terrorizzata, lei ci metteva un attimo. Ha 7 anni, eravamo in mezzo ai ghiacci, era ricoperta di strati di indumenti, è una vera guerriera. Se mi sta leggendo un’attrice, sappia che può mettere da parte tutte le scemenze sul dover uccidere i propri genitori nella sua testa per riuscire a girare una scena di violenza».

[…] Con l’esperienza accumulata negli anni, è diventato un decisionista esperto?
«Non ci ho mai pensato, ma credo di sì. E da attore non sono mai stato il grande comico o un eroe da action movies, il fatto che non sia diventato il numero uno in qualcosa mi ha permesso di sperimentare in direzioni diverse, e questo allena a essere elastici».

Ricorda il momento in cui ha capito che voleva prendere il comando, su un set?
«Lavoravo in tv, e da attore sei un oggetto nelle mani di molte altre persone. Puoi fare la performance della tua vita, ma loro sono lì a guardare tutt’altro. Mi è sempre piaciuta l’idea di avere più controllo, per questo guardavo come lavoravano i registi tv che rispettavo. Al tempo di Confessioni di una mente pericolosa, il primo film che ho diretto, sapevo cosa volevo e come lo volevo realizzare. E ricordo che avevo chiarissimo in mente il fatto che non avrei giocato facile».

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Chi era Clooney prima di diventare un divo di Hollywood?
«Uno che per vivere ha tagliato il tabacco a 3 dollari e 33 centesimi all’ora. Quando ho lasciato il Kentucky la mia unica certezza era che non volevo fare quella vita, ogni cosa sarebbe stata un po’ meglio. Per questo oggi tendo a trovare idiota chi fa il mio lavoro e si lamenta, per qualsiasi motivo. Certo che ci sono i momenti duri, in cui si diventa matti. Ma lo spirito generale, di sottofondo, non può che restare di entusiasmo. Perché siamo molto, molto fortunati».

Oggi quando la scelgono come attore cosa vogliono da lei?
«I Coen si prendono gioco di me, vogliono sempre che faccia l’idiota e la cosa mi diverte. Steven Soderbergh mi fa sfidare gli stereotipi e Alexander Payne, vuole che giochi con la percezione che la gente ha di chi sono. Significa essere sempre sul filo del rasoio, perché quando qualcuno ti dice che stai recitando te stesso tu sai che non è così».

[…] Poi ci sono le cose serie, come Good Night, and Good Luck.
«Sono cresciuto come figlio di un giornalista, ho voluto scrivere una specie di tributo a mio padre e anche attaccare le persone che non capiscono che gli altri tre poteri non contano niente se il quarto, quello della stampa, non fa la sua parte. È il più importante, perché controlla l’operato di politici, magistrati e istituzioni democratiche. E ho voluto dare un occhio a quelle volte in cui ha fallito nella sua funzione di tenere a bada tutti gli altri».

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Oggi chi lotta per scoprire la verità è più importante di prima?
«Un po’ per colpa di internet, un po’ per come ci siamo mossi negli ultimi 15 anni. Negli Usa avevamo tre canali di news, Abc, Nbc e Cbs. Partivano tutte dallo stesso set di fatti, e tu, da casa, ricevevi questi fatti e li digerivi, in base alla tua visione di conservatore o liberale, e a dove ti collocavi nel mondo. In un certo senso le persone non erano mai così distanti tra loro, su vicende come il Vietnam poteva esserci disaccordo, e se eri un veterano odiavi gli hippie».

[…] Una cosa che è cambiata radicalmente nella sua vita?
«Ho smesso di correre, e da molto prima del lockdown. Ho un posto in cui in tempi normali sono solito trascorrere l’estate con la famiglia, in Italia. Lì vivono la vita in modo diverso da quello che facevo io, non mi vergogno a dire che per 25 anni ho pranzato in piedi. Sul lago di Como vedevo questi ragazzi tornare a casa dal lavoro con una bottiglia di vino e una forma di pane, cantavano e si prendevano tre ore per stare a tavola. Mi è successo qualcosa dentro, mi sono detto che non stavo vivendo nel modo in cui si deve vivere. Se ho iniziato a godermi la vita, le cene e il tempo libero, lo devo all’Italia».

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